Il governo Gentiloni rifinanzierà la Dis-coll, l’indennità di disoccupazione dei collaboratori, e la renderà strutturale inserendo una norma nel ddl sul lavoro autonomo all’esame della Camera. Un subemendamento al Milleproroghe è stato presentato ieri dalla capogruppo Pd in commissione Lavoro del Senato, Anna Maria Parente, per prorogare il sussidio fino all’entrata in vigore della misura strutturale.

Questa è la soluzione di emergenza individuata dopo l’allarme lanciato ieri dall’Inps: il sussidio non avrebbe potuto essere rifinanziato perché il governo Renzi lo ha tagliato per approvare la legge di stabilità a scatola chiusa. Dopo la débâcle del 4 dicembre Renzi aveva fretta di lasciare Palazzo Chigi e ha lasciato al successore questa eredità. Ancora due giorni fa il nuovo esecutivo aveva bocciato un emendamento al Milleproroghe a causa della mancanza di fondi, pari a 50 milioni di euro. Allarme rientrato. Ai collaboratori parasubordinati iscritti alla gestione separata dell’Inps dovrebbero essere assicurati anche quest’anno un sussidio pari al 75% del reddito medio mensile se inferiore all’importo di 1.195 euro. L’importo non può superare 1300 euro lordi per massimo 6 mesi.

I problemi della Discoll restano tutti sul tavolo. Si tratta di una misura così selettiva da avere trasformato la richiesta della disoccupazione in un terno al lotto. Secondo l’Inps l’hanno ottenuta solo 11.600 persone. Le risorse spese sono state meno di un quarto di quelle stanziate: 28,7 milioni su 114 milioni. In pratica non si riescono a spendere i fondi stanziati.
La Discoll, inoltre, discrimina almeno 40 mila ricercatori precari universitari dagli altri lavoratori parasubordinati. La soluzione in due tempi adottata dal governo non considera dottorandi, borsisti e assegnisti, anche loro iscritti alla gestione separata dell’Inps. «È inaccettabile che i precari della ricerca siano trattati come ragazzini sui banchi di scuola, né che sia loro negata la possibilità di accedere agli ammortizzatori sociali» sostiene la Flc Cgil tra i promotori della campagna #percheiono che ha raccolto 10 mila firme online.

L’esiguità della platea degli aventi diritto e la sostanziale inaccessibilità del sussidio sono gli effetti di una storica carenza del welfare italiano che non si è mai occupato seriamente delle tutele per i lavoratori atipici e precari al di là del contratto in loro possesso. In Italia si è scelto di non intervenire in maniera strutturale con un sostegno al reddito in caso di disoccupazione sia per i parasubordinati che per i lavoratori autonomi. In compenso sono state varate misure deludenti come l’una tantum approvata dal governo Berlusconi nel 2010 e la Discoll del Jobs Act di Renzi nel 2015. Oggi siamo al paradosso: la disoccupazione e la precarietà aumentano, mentre si restringono l’accesso e la durata del sussidio alle categorie più colpite dalla crisi.

Un’altra anomalia è il vettore legislativo scelto per rendere strutturale una misura pensata per figure contrattuali in esaurimento come i co.co.co. Il governo lo ha individuato nella legge che riconosce alcuni diritti sulla maternità e la malattia alle partite Iva iscritte alla gestione separata Inps, la stessa cassa previdenziale dei parasubordinati. Si rischia così di creare una discriminazione in un provvedimento che, tra l’altro «è ancora in itinere con tempi di approvazione ancora incerti» osserva la Cgil. L’idea della Cisl di estendere il sussidio anche agli autonomi si scontra con la natura della Dis-coll riservata ai parasubordinati che la finanziano con un’aliquota del 32%, due terzi dei quali a carico del datore di lavoro. Per gli autonomi l’aliquota dovrebbe essere fissata al 25%, ma è a carico del lavoratore. Per risolvere il rompicapo occorrerebbe una riforma del sussidio che, ad oggi, non sembra essere prevista. «Occorre una misura universalistica, non assicurativa come la Dis-coll che noi non possiamo pagare – sostiene Anna Soru, presidente dei freelance di Acta – Questa misura può ostacolare il percorso del Ddl frutto di molte battaglie degli autonomi».