State alla larga da Edward Snowden. Questo il messaggio che gli Stati uniti hanno inteso inviare forte e chiaro a chi è disposto ad accogliere l’uomo che ha fatto scoprire il gigantesco scandalo delle intercettazioni illegali messo in campo dagli Usa. Primo destinatario, il presidente boliviano Evo Morales. Il suo volo di ritorno da Mosca a La Paz è stato dirottato a Vienna, perché Francia, Portogallo, Italia e Spagna hanno vietato all’aereo presidenziale di sorvolare il proprio spazio. Un’odissea di oltre 13 ore durante la quale si è trovato modo di verificare se l’aereo trasportasse il fuggitivo, senza alcun riguardo per le prerogative di cui gode un capo di stato. A Mosca, dove ha partecipato a un vertice del Forum dei paesi esportatori di gas, il «presidente indigeno» aveva dichiarato la sua disponibilità a prendere in esame la richiesta di asilo politico presentata da Snowden. Analoga disponibilità ha manifestato l’Ecuador, che in precedenza ha accolto la domanda del cofondatore del sito Wikileaks Julian Assange (sempre braccato dall’Inghilterra nell’ambasciata ecuadoregna a Londra).

Anche il presidente venezuelano Nicolas Maduro, ancora in viaggio in Bielorussia, si è detto pronto ad accogliere l’ex consulente Cia, imbottigliato al transito dell’aeroporto moscovita di Sheremetievo dal 23 giugno. Il successore di Hugo Chávez ha dichiarato che il caso Snowden è l’ennesima spia delle storture e delle iniquità presenti negli Usa e ha detto che l’ex tecnico informatico della Nsa dev’essere posto «sotto la protezione internazionale». A quanti, nel suo paese e all’estero, davano per scontato che la patata bollente finisse a Caracas e che «la talpa» potesse infilarsi nel suo aereo presidenziale, Maduro ha però negato di aver ricevuto una sua richiesta di asilo: «A Caracas portiamo un pacchetto di accordi commerciali, nient’altro», ha detto. Il sito Wikileaks, che dà sostegno e appoggio al trentenne in fuga, ha invece pubblicato la lista di 21 paesi, 6 dei quali dell’America latina, a cui Snowden ha chiesto aiuto e fra questi figura il Venezuela.

Al di là delle dichiarazioni di intenti, nessuno però sembra disposto a prendere di petto la faccenda. Tutto il blocco dei paesi progressisti dell’America latina sta cercando di disinnescare per quanto possibile piani destabilizzanti e attacchi diretti alla propria sovranità e di mantenere rapporti di non ostilità con l’amministrazione Obama: a patto che non siano relazioni asimmetriche. Cuba ha in ballo, tra le altre cose, il tenue filo di negoziato per riavere indietro i cinque agenti prigionieri negli Usa, magari in cambio della spia Alan Gross. Il Venezuela cerca di disinnescare le ingerenze statunitensi nella propria politica interna. Per questo, a giugno, durante l’Assemblea generale dell’Organizzazione degli stati americani (Osa), in Guatemala, il suo ministro degli Esteri Elias Jaua ha cercato di ristabilire una relazione «costruttiva» con John Kerry al fine di ripristinare le reciproche ambasciate. E l’Ecuador – che ieri ha detto di aver scoperto una cimice nell’ambasciata londinese dove si trova Assange – ha di molto abbassato i toni su Snowden, dopo la telefonata «rispettosa» di Kerry a proposito del Datagate. Il console ecuadoregno a Londra che ha concesso il salvacondotto con cui «la talpa del Datagate» ha potuto spostarsi da Hong Kong a Mosca, è stato redarguito. E il fuggitivo è sprovvisto anche del documento umanitario.

Finora solo la Russia ha dato la sua risposta: Snowden può restare – ha detto Putin-, ma solo se smette di infastidire gli Usa con le sue rivelazioni. L’ex tecnico informatico ha rifiutato, rilanciando con una lettera pubblica in cui denuncia le pressioni esercitate dall’amministrazione Obama e l’uso «della cittadinanza come ricatto». Il governo Obama – scrive la «talpa» – non teme gli informatori come me, Bradley Manning o Thomas Drake. Siamo apatridi, incarcerati o impotenti. No, l’amministrazione Obama non ha paura di uno. Ha paura di una società informata, indignata che esige il governo costituzionale che le fu promesso e che deve avere». Intellettuali e associazioni umanitarie da tutto il mondo chiedono all’America latina di accogliere Snowden. Quanto all’ex ufficiale dell’aeronautica Drake – anch’egli con qualche vocazione alla denuncia pubblica sui metodi poco ortodossi in uso alla National Security Agency (Nsa) per cui ha lavorato – è rimasto ad affrontare il processo, è stato assolto e in questi giorni cerca di fornire qualche consiglio a Snowden su web.

Così fan tutti, ha detto in sintesi l’amministrazione Obama in risposta alle rimostranze dell’Unione europea e dell’Onu, spiata insieme alle ambasciate di 38 paesi. Le polemiche, però, non si placano. Ieri la Francia ha chiesto una «sospensione temporanea» dei negoziati sull’accordo di libero scambio tra Ue e Usa. Questo, però non ha impedito a Parigi di prestarsi «all’aggressione imperialista» contro il presidente Morales – ha protestato il governo boliviano. A La Paz gruppi di manifestanti hanno tirato pietre all’ambasciata e bruciato la bandiera francese. Il Perù, a cui spetta la presidenza pro-tempore dell’Unione delle nazioni sudamericane (Unasur) è pronto a convocare un vertice d’urgenza su quanto accaduto a Morales. I presidenti latinoamericani hanno espresso indignazione in Twitter. «Sono tutti completamente pazzi. I capi di stato e i loro aerei godono di una immunità totale, non è possibile questo grado di impunità totale», ha scritto la presidente argentina Cristina Fernandez. Maduro: «Con dignità risponderemo a questa aggressione pericolosa». E Correa: «Tutti siamo Bolivia». Ieri sera, gli Usa hanno presentato alla Bolivia una richiesta formale di estradizione per Snowden. La Paz ha convocato gli ambasciatori europei coinvolti nel «sequestro».