Francia e Italia promettono lo scalpo dei diritti dei lavoratori per ottenere uno sguardo di benevolenza da parte del fronte rigorista, che minaccia sanzioni per chi sfora i parametri. Ma Roma e Parigi, dove i rispettivi parlamenti sono in subbuglio contro il massacro annunciato, corrono ognuno per suo conto, senza strategia comune per arrivare al rilancio economico (e hanno già perso per strada la Spagna, fagocitata da Berlino): quindi, si limitano ad abolizione dell’articolo 18 da un lato, riforma del sistema di sussidi di disoccupazione e revisione al ribasso dei diritti sindacali dall’altro, come pegno per dimostrare che la strada delle “riforme” è stata intrapresa sul serio.

Ieri, alla riunione-lampo di Milano, che aveva già subito un downgrading da Vertice a una più modesta Conferenza, è andato in onda il balletto delle promesse dei tagli dei diritti, sperando di convincere Bruxelles, Berlino e il fronte del rigore che lo stimolo all’economia è necessario. Per la prima volta dopo le voci sulla possibile bocciatura della finanziaria francese 2015, Hollande ha incontrato Angela Merkel. Ma è Renzi che ottiene il placet della cancelliera per il controverso Jobs Act: “eliminare le barriere” del mercato del lavoro in Italia è “un passo importante”. Alla terza riunione sulla disoccupazione giovanile in meno di due anni (dopo Berlino nel luglio 2013 e Parigi, nel novembre successivo) e l’ennesima da una ventina di anni (tutte senza risultati rilevanti), Renzi, nella lettera di intenti ai partner della Ue, aveva proposto non solo una discussione sulla disoccupazione giovanile ma anche “un dibattito politico sulla situazione economica” nella Ue. Hollande ha ripreso l’argomento: bisogna permettere un “aggiustamento delle politiche di bilancio alla crescita”, ha detto il presidente francese, che deve evitare che la Francia venga “punita” per lo sforamento del parametro del 3% di deficit (che sarà il 4,3% nel 2015).

“Se tutti fanno austerità – ha aggiunto – cosa che non è il caso per la Francia, allora ci sarà un rallentamento ancora più ampio della crescita”. Per Hollande, “i paesi che hanno degli eccedenti, ed è il caso della Germania, devono sostenere ancora di più la loro domanda”. Merkel ha puntualizzato che la Germania apre la borsa per 15 miliardi, per favorire la domanda interna. La Francia, appoggiata dall’Italia, chiede che il programma “garanzia giovani” varato – sulla carta – nell’aprile 2013, venga “perennizzato” e che si passi da 6 miliardi a 20 miliardi. Ma in realtà, per i 5 milioni di disoccupati europei con meno di 25 anni (parte del 29esimo stato Ue dei 25 milioni di disoccupati), non si è visto quasi nulla: intanto solo Italia, Francia e Lettonia hanno presentato un progetto a Bruxelles, che lo ha approvato, ma solo l’1% dei 6 miliardi è stato sbloccato (nella Ue funziona cosi: il primo anno, per tutti i fondi europei, i finanziamenti sono limitati all’1% della cifra stanziata sulla carta, ma adesso tutti chiedono “semplificazione” per questo e per altri settori).

Siamo quindi lontani per esempio dai 620 milioni che la Francia spera di ricevere per finanziare, tra l’altro, formazione e apprendistato. Sul tavolo di Milano c’era anche il fantasma dei 300 miliardi promessi da Juncker come piano di rilancio europeo. Peccato pero’ che Jean-Claude Juncker fosse assente, visto che la Commissione è per ora presieduta da José Manuel Barroso. Assente anche David Cameron. La Gran Bretagna ha la sua ricetta per il lavoro, come la Germania. I due paesi, in effetti, hanno un tasso di disoccupazione inferiore alla media Ue. Rispettivamente 8% e 4,9%. Il prezzo da pagare è stato, per la Germania, lo sviluppo dei mini-jobs sottopagati e, per la Gran Bretagna, la trovata dei contratti “zero ore” (il lavoratore non è disoccupato, perché ha firmato un contratto di lavoro, ma a zero ore, cioè se il datore di lavoro ha bisogno, lo chiama con un sms per qualche ora e lo paga solo per le ore lavorate, cosa che significa che contratto a zero ore puo’ anche significare certi mesi un contratto a zero stipendio).

La strada indicata a Francia e Italia è questa: allargare il precariato per migliorare le statistiche. In Francia, la strada della flessibilità del lavoro è progressiva: prima di tutto ci sarà la legalizzazione più allargata del lavoro la domenica, poi la imitazione dei diritti attraverso una revisione delle “soglie” da cui scattano nelle imprese, infine sul tavolo c’è anche la riforma dei sussidi di disoccupazione, troppo generosi per il primo ministro, Manuel Valls, che afferma che “la Francia da lungo tempo ha fatto la scelta di una disoccupazione di massa ben indennizzata”. Per la Cgt è “una provocazione”.