Un taglio a fin di bene. Non è un paradosso, ma è il pacco regalo che l’emendamento all’articolo 59 bis del «decreto del Fare», voluto dal Pd e accettato dal governo, vorrebbe recapitare agli studenti «meritevoli» che oggi sono in vacanza, ma che a settembre si iscriveranno ad un corso di laurea.

Tutto è partito dalla proposta del responsabile istruzione del partito di Epifani, Marco Meloni, corrente «lettiana», che ha colto l’occasione del decreto omnibus per lanciare una proposta che gli sta a cuore. Si tratta del «Programma nazionale per il sostegno degli studenti capaci e meritevoli», un fondo che nei fatti è un binario parallelo al sistema del diritto allo studio gestito dalle regioni e garantito dalla Costituzione. Nel Dl «Fare» è previsto lo stanziamento di 240 milioni di euro che sarà prelevato dai 540 milioni della quota premiale prevista sul Fondo di finanziamento ordinario (Ffo) degli atenei.

Il colmo è che esiste un altro emendamento dell’ex ministro Maria Stella Gelmini, che prevede l’aumento della stessa quota premiale dall’attuale 13% al 20% nel 2014 fino a raggiungere il 30% sull’Ffo. Tutto a danno dei fondi ordinari erogati dallo Stato agli atenei, molti dei quali sono stati penalizzati dal taglio di 1,4 miliardi di euro voluto dalla stessa Gelmini (e da Tremonti). La quota premiale che Meloni vuole tagliare, e che Gelmini vuole aumentare, dovrà essere distribuita per i 3/5 in base alle «pagelle» degli atenei stilate dall’agenzia per la valutazione della ricerca universitaria (Anvur), sulla cui «oggettività» sono emerse molte incertezze dopo la loro pubblicazione sui media da parte della stessa agenzia (Il Manifesto 26 luglio). La decisione ultima spetterà al ministro dell’Università e Ricerca Maria Chiara Carrozza, «lettiana», che dovrà distribuire anche il restante 1/5 in base alla valutazione delle politiche di reclutamento nelle università.

Gli studenti della Rete della Conoscenza credono che la spettacolare confusione provocata dalle «larghe intese» al governo imporrà agli atenei l’aumento delle tasse per assumere un maggiore numero dei docenti e per permettere agli atenei di scalare le incerte classifiche dell’Anvur in base alle quali il ministro assegna i fondi. «L’aumento voluto dalla Gelmini – afferma Luca Spadon, portavoce della Rete della Conoscenza – dividerà gli atenei tra una serie A iper-finanziata e una serie B condannata alla chiusura. Se queste norme dovessero diventare legge, siamo pronti a rilanciare un autunno di protesta». Alla faccia della «pacificazione» con i giovani invocata ieri da Letta. Gli umori tra i «giovani» che il presidente del Consiglio scruta con timore non sono dei migliori. E si capisce: il diritto allo studio non è stato rifinanziato per il 2014, mentre quest’anno ci sono stati migliaia di «idonei non beneficiari», cioè vincitori di borsa ma senza posto in una casa dello studente. Una situazione provocata dai tagli che hanno eroso i finanziamenti.

Letta ha un altro problema. Alle regioni «rosse» Liguria e Toscana non è piaciuta l’intromissione del suo Pd sul diritto allo studio. E chiedono il ritiro delle norme nel passaggio del Dl al Senato. «Il diritto allo studio non è un bancomat – afferma la vice-presidente della Toscana Stella Targetti – il governo deve rifinanziarlo per la realizzazione di alloggi e mense per gli studenti». I rettori della Crui hanno rincarato la dose. «Invece di prevedere fondi specifici per la causa sacrosanta dei capaci e meritevoli – ha detto quello di Bologna Ivano Dionigi – perché non assegnare la quota premiale dovuta e obbligare le università a spendere per il diritto allo studio?».

Così dovrebbe essere, stando alla lettera della riforma Gelmini, ma i lettiani del Pd hanno una grana da risolvere. Il programma che Meloni vuole sostenere dovrebbe essere gestito da una creatura della riforma Gelmini: la fondazione per il merito. Doveva essere finanziata dai privati, ma in due anni nessuno si è presentato con un assegno in mano. La soluzione è prendere i soldi dagli atenei. Le larghe intese hanno una lunga storia. Risale al 2008. E da allora non è mai finita.