Il dibattito sull’euro e sulle sue ricadute politiche è diventato molto caldo nei movimenti e nel radicalismo di ogni matrice. Fra il 2011-2012 era molto più vivo il tema del debito: in quegli anni si mossero le campagne Rivolta il Debito di Sinistra Critica, e Smonta il Debito del Centro Nuovo Modello di sviluppo con altre realtà. A livello più politico si formò invece un Comitato No Debito nazionale.

Tutte queste realtà si erano mosse nel contesto della crisi del debito sovrano che sostanzialmente iniziò fra il 2010-2011. Il punto di precipitazione può essere considerato l’affermazione del nuovo premier Papandreu a fine 2009 che i conti greci non permettevano di fare fronte ai propri debiti. Da allora la situazione è costantemente peggiorata.

In Italia la questione venne mossa dall’arrivo al potere di Mario Monti e dal rinnovamento tecnocratico che prometteva di abbinare rigore e equità: restringere la spesa e aumentare la competitività per pagare i debiti dello Stato con un certo grado di giustizia sociale. Di quest’ultima se n’è vista poca, per la verità. Comunque fra il 2013-14 il tema della moneta ha acquisito molto successo, mentre il debito è rimasto confinato alle notizie occasionali.

Nonostante il crollo dell’attenzione in merito, i problemi non sono stati risolti né messi sotto controllo. Il recente rapporto della Commissione europea European Economic Forecast indica come il livello medio di indebitamento degli stati dell’eurozona sia passato dal 71,3% sul pil fra 2004-10 all’86,5% nel 2011, 91,1% nel 2012, 93,2% nel 2013, 94,2 nel 2014, 94% nel 2015 (ma quest’ultima è una previsione). L’aumento è stato particolarmente spiccato dove è stata applicata l’austerità, che per molte analisi non serve a affrontare il debito pubblico, quanto a trasferirlo sulle spalle di cittadini e lavoratori mentre si garantisce la solvibilità ai creditori, assai spesso banche o entità speculative come i temibili fondi-avvoltoio: la punta di diamante della finanza più nociva e speculativa.

L’opposizione alla ristrutturazione dei debiti sovrani è stata fortissima, perché implica una riduzione della cifra che dovrebbe tornare ai creditori; l’intero meccanismo dell’imposizione dell’austerità (controllo della spesa e della fiscalità dello Stato come condizione di ulteriori prestiti) è sbilanciato verso di essi, arrivando a sottoporre le linee di politica economica di Stati sovrani alle loro esigenze.

Da un anno in sede ONU si è iniziato un percorso per stabilire una cornice giuridica per la ristrutturazione del debito in modalità conformi ai diritti umani; il 10 settembre 2015 è stata approvata una risoluzione che accettando le conclusioni di un gruppo di lavoro e sostenuta da uno studio dell’UNCTAD (Agenzia ONU per il Commercio e lo Sviluppo) cerca di stabilire criteri direttivi stabili per un bilanciamento di tutti gli interessi in campo; i principi base sono: sovranità economica degli Stati anche per la ristrutturazione; dialogo costruttivo coi creditori; trasparenza; imparzialità (no a conflitti d’interesse); equo trattamento dei creditori; no alle giurisdizioni extranazionali; conformità alla legge; sostenibilità, regola maggioritaria. Non è tutto quello che vorrebbero i movimenti contro il debito ingiusto e odioso, per esempio non viene nominata l’audit (indagine conoscitiva) per vagliare la legittimità degli impegni assunti; ma sicuramente una applicazione decisa e sistematica di tale base giuridica la selvaggia spoliazione di tanti paesi che hanno subito il selvaggio attacco di fondi speculativi e creditori rapaci al punto di mettere in questione i diritti dei propri cittadini. La risoluzione è stata approvata con 136 voti a favore, mentre 41 paesi si sono astenuti (fra cui l’intera Unione europea) e 6 si sono opposti: Canada, Germania, Israele, Giappone, Regno Unito, Stati Uniti.