Quando si parla di rarefazione dell’acqua, l’idea veicolata dai gruppi sociali dominanti responsabili primari dell’evoluzione delle cose è quella della rarefazione, quantitativa e qualitativa, in quanto risorsa vitale d’importanza strategica per l’economia e il benessere dell’umanità.

Ben poco o nulla dicono delle altre due rarefazioni relative all’acqua, che rivestono un’importanza altrettanto fondamentale per il divenire dell’umanità e la vita di tutte le specie viventi della Terra: la rarefazione in quanto bene comune pubblico e in quanto diritto universale alla vita.

I dati parlano da soli: uno studio pubblicato su Science News del febbrario 2016 ha calcolato che quattro miliardi di persone vivono in zone a forte scarsità d’acqua potabile. Secondo il rapporto Global Rsks 2015 del World economic forum, il mondo delle imprese e della finanza ha posto la scarsità dell’acqua al primo posto dei rischi mondiali per l’importanza del suo impatto sulla vita della Terra.

PIÙ DI UN TERZO DELLE ACQUE da falda degli Stati Uniti non è più utilizzabile perché gravemente inquinato. Lo stesso dicasi per le falde in Cina, India, Russia. Il 60 per cento delle 482 città più popolose al mondo si troveranno a secco nel 2050 (vedi ricerca pubblicata da Nature Sustainability del febbrario 2018).
Non sorprende che fra i soggetti più preoccupati di fronte a tale situazione figurano le grandi imprese mondiali dell’agroaliminentare, quali Coca Cola, Nestlé, Danone, Barilla, Heinz, le imprese sementiere, l’industria chimica e farmaceutica. Da sola, l’agricoltura rappresenta il 70 per cento dei prelievi mondiali d’acqua dolce. Senza acqua, Coca Cola e Nestlé spariscono.

I cambiamenti climatici non faranno che accentuare i fenomeni menzionati. Le penurie d’acqua, si afferma, si diffonderanno e si moltiplicheranno.

DI FRONTE ALLA RAREFAZIONE della risorsa, dovuta principalmente a fattori antropici (tutti ne convengono) le società dominanti stanno reagendo già dagli anni ’90 secondo logiche di sicurezza e di sopravvivenza corporative. Da qui la nuova corsa mondiale all’accaparramento privato delle terre e delle acque, i conflitti sempre più drammatici per il controllo e l’uso delle fonti idriche (si parla con sempre maggiore enfasi delle «guerre dell’acqua»), la mercificazione dell’acqua e la privatizzazione dei servizi idrici. L’acqua è stata trasformata in un bene economico privato sottomesso ai meccanismi dei mercati concorrenziali, cioè a logiche di rivalità e di esclusione. Come tanti altri beni e servizi essenziali e insostituibili per la vita e per il vivere insieme, l’acqua non è più considerata un bene comune pubblico sul piano della proprietà, delle regole dell’uso e della gestone. I beni comuni pubblici sono ormai rari. La scomparsa del concetto stesso di bene comune pubblico è data come inevitabile.

Ma, allora, com’è possibile fare società e promuovere un vivere insieme condiviso e solidale in assenza di beni comuni pubblici, in particolare l’acqua, della cui salvaguardia e cura gli esseri umani sono o dovrebbero considerarsi responsabili collettivamente, ancor prima di comportarsi da proprietari e da consumatori sovrani?

La rarefazione dei beni comuni pubblici ha già modificato profondamente la concezione e le finalità dell’economia, del sistema di sicurezza collettiva, dello Stato, del ruolo delle collettività locali. La regolazione democratica delle società è entrata in crisi profonda. Lo Stato di diritto è diventato una grande nebbia che oscura i luoghi della polis e i percorsi dei cittadini.

SEBBENE IL DIRITTO UMANO ALL’ACQUA sia stato riconosciuto formalmente a livello internazionale da una risoluzione dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite il 28 luglio 2010 (41 Stati però hanno votato contro, fra i quali spiccano gli Stati Uniti, il Canada, il Giappone , l’India, il Regno Unito, la Spagna e l’Australia), la stragrande maggioranza delle classi dirigenti sta agendo come se la risoluzione non esistesse
Addirittura, in Italia, i dominanti hanno spudoratamente ignorato e adottato misure contrarie ai risultati del referendum sull’acqua del 2011 con il quale 27 milioni di cittadini si sono espressi in favore dell’inclusione del diritto umano all’acqua nella legislazione nazionale. Per i dominanti, l’accesso all’acqua passa attraverso l’obbligo di pagare un prezzo definito in funzione del consumo ai costi di mercato. Altro che diritto.

OGNI GIORNO IL RISPETTO DEI DIRITTI UMANI si sta sgretolando sull’altare dell’imperativo dell’efficienza e del rendimento finanziario. La nozione di diritto umano sta sparendo dagli immaginari delle popolazioni dei paesi occidentali e occidentalizzati. I dominanti pensano di risolvere la rarefazione dell’acqua con la strategia dell’aumento dell’offerta grazie alla tecnologia in tutti i campi (aumento della produttività idrica, riduzione degli sprechi, ricerca di nuove fonti, dissalamento dell’acqua del mare, razionalizzazione della domanda via il prezzo). Non capiscono e non vogliono capire che la soluzione alla rarefazione della risorsa passa soprattutto attraverso e in relazione alla soluzione della rarefazione dell’acqua come bene comune pubblico e della rarefazione del diritto universale all’acqua. Più le società daranno il potere alla finanza capitalista privata più l’acqua diventerà rara e più le società saranno governate da poteri politici ingiusti e oligarchici come oggi, più rara sarà l’acqua per tutti. Contrariamente a quanto pretendono i dominanti, ciò è evitabile.