La notizia è di qualche giorno fa e fornisce ulteriore riprova dell’inarrestabile stretta repressiva in Egitto.

Il Parlamento, controllato da Al Sisi, ha approvato una legge sulle organizzazioni non-governative che ne limiterà notevolmente le attività.

Già nel settembre di quest’anno il Tribunale Penale del Cairo aveva congelato i beni di cinque difensori dei diritti umani e 3 Ong, mettendo i loro fondi sotto il controllo del governo.

La nuova legge, dopo altre vigenti, permette alle Ong di svolgere solo attività sociali e di sviluppo, imponendo un minimo capitale di base necessario per costituire una Ong. Viene poi introdotta una tassa specifica per fondi provenienti dall’estero, il divieto a attivisti condannati a pene detentive di costituire una propria Ong, proibendo ogni «attività politica». In una dichiarazione congiunta 22 Ong e 6 partiti politici denunciano che la legge «metterà fine alla società civile».

Misure stigmatizzate invano anche dalla relatrice Onu sul Diritto all’associazione Maina Kiai. Perché in almeno 90 paesi sono state adottate misure che hanno portato alla riduzione di contributi finanziari a organizzazioni della società civile, mentre in 96 paesi sono state adottate leggi per la restrizione delle libertà di associazione, espressione e riunione.

La macchina repressiva del regime di Al Sisi – forte anche della sua impunità sul caso Regeni – avanza così inesorabile, nonostante la liberazione recente di alcuni attivisti tra i quali il chirurgo e poeta Ahmed Said o la blogger Sadra Saif. A farne le spese anche l’avvocato ed attivista per i diritti umani Malek Adly, scarcerato di recente ma non autorizzato a lasciare il paese.

Malek avrebbe dovuto partecipare di persona il prossimo 28 novembre a “Difendiamoli!” un importante convegno internazionale alla Camera con altri difensori dei diritti umani da India, Mauritania, Siria, Iraq, Afghanistan, organizzato da una ampia coalizione di associazioni, Ong italiane, che lanceranno in quest’occasione una campagna nazionale per la protezione dei difensori dei diritti umani.

Aidos, Amnesty International, Antigone, Cild, Aoi, Arci, Arcs, Associazione Articolo 21, Cgil , Comitato Giustizia per i Nuovi Desaparecidos, Cospe, Fondazione Lelio e Lisli Basso-Issoco, Giuristi Democratici, Greenpeace Italia, Legambiente, Libera, Nomi e Numeri contro le Mafie, Non c’è Pace senza Giustizia, Radicali Italiani, Rete per la Pace, Terra Nuova, Progetto «Endangered Lawyers/Avvocati Minacciati», Unione Camere Penali Italiane, Un Ponte Per…a cui si è aggiunta di recente Peace Brigades Italia, si rivolgono al governo italiano perché prenda iniziative per la protezione dei difensori dei diritti umani in paesi terzi.

Coinvolgimento rappresentanze diplomatiche ed adozione di linee guida sulla scia di quanto fatto da Unione europea e da alcuni paesi membri, concessione di visti temporanei ad attivisti a rischio, creazione di una rete di città «rifugio», alcune delle richieste contenute in una lettera inviata al Ministro degli Esteri Paolo Gentiloni (maggiori informazioni sul convegno qui).

Le Commissioni Esteri della Camera e Diritti Umani del Senato stanno ora svolgendo audizioni in vista dell’adozione di risoluzioni di indirizzo per il governo. Un piccolo primo passo per tenere aperto uno spazio di agibilità che si restringe in ogni parte del mondo.

Basti pensare alle ultime notizie allarmanti di attacchi sistematici ad avvocati in Turchia o la continua scia di sangue degli omicidi di attivisti, leader comunitari ed indigeni in Honduras o Colombia. Alla strage di difensori della terra e dell’ambiente (Environmental Human Rights Defenders) è dedicato l’ultimo rapporto del Relatore Speciale Onu sui Difensori dei Diritti Umani , Michel Forst.

Richiamando la responsabilità di governi istituzioni internazionali, imprese, Forst denuncia le correlazioni tra violazioni dei diritti dei difensori della terra e dell’ambiente e la progressiva «finanziarizzazione e mercificazione» della natura, e riprende le raccomandazioni di una risoluzione del Consiglio Onu sui Diritti Umani che riafferma la necessità di proteggere e sostenere il lavoro di chi «si impegna in difesa dei diritti sociali, economici e culturali, inclusi quelli all’ambiente ed alla terra».

La lotta di Berta Caceres e di tanti e tante continua.

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