«Nessuno può essere allontanato, espulso o estradato verso uno Stato in cui esiste un rischio serio di essere sottoposto alla pena di morte, alla tortura o ad altre pene o trattamenti inumani o degradanti». Questo è scritto all’articolo 19 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea. Una Carta che non è un esercizio di stile, una summa di buone intenzioni, un elenco di propositi generosi.

Dal primo dicembre del 2009, per chi se lo fosse dimenticato, la Carta di Nizza ha la stessa forza giuridica dei Trattati istitutivi della Ue. Vincola le istituzioni europee ma vincola anche gli Stati membri. «Sulla base della discussione avuta con la società civile, con i pubblici ufficiali, i giudici, gli avvocati, e alla luce delle interviste con le vittime di violenze e con altre persone in stato di privazione della libertà, il Rapporteur Speciale sulla tortura delle Nazioni Unite conclude che l’uso della tortura in Kazakistan va oltre casi isolati». Il professore austriaco Manfred Nowak giunse a queste conclusioni pochi anni addietro dopo che gli erano pervenute innumerevoli, credibili e circostanziate denunce di tortura, in molti casi dimostrate da una evidente prova medico-legale. Conclusioni non distanti d’altronde da quelle a cui è successivamente giunta Amnesty International.

Nell’ultimo Rapporto sui diritti umani in Kazakistan curato dagli Stati Uniti d’America si legge di denunce di assassinii illegali imputabili al Governo, di torture nei confronti dei dissidenti politici nonché della assenza di organismi indipendenti di controllo per chi è ristretto nella libertà personale. Tra le osservazioni critiche del Regno Unito nei confronti del Kazakistan, espresse in occasione dell’ultima Universal Periodical Review davanti al Consiglio dei Diritti Umani delle Nazioni Unite, vi era quella relativa alla necessità di istituire un meccanismo preventivo di controllo dei luoghi di detenzione come richiesto dal Protocollo Opzionale alla Convenzione delle Nazioni Unite contro la tortura.

L’Italia ha quindi evidentemente commesso una illegalità. Come una illegalità è stata commessa nella rendition di Abu Omar. Vedremo se la moral suasion nei confronti delle autorità kazake eviterà il peggio per le due povere donne e consentirà loro di evitare di finire sotto le unghie affilate degli apparati di sicurezza di quel Paese. Detto questo, siamo però noi italiani, dal punto di vista del rispetto delle norme internazionali e quindi su un piano astratto e generale, così tanto diverso rispetto ai kazaki? Vediamo un po’ cosa dicono di noi ad esempio Nazioni Unite e Stati Uniti d’America.

Nell’ultimo Rapporto della Casa Bianca sull’Italia viene ricordata la assenza del crimine di tortura nel codice penale nonché la sentenza del giudice di Asti che a causa di questa lacuna assicurava di fatto impunità penale a quattro agenti di polizia penitenziaria accusati di violenze brutali. Nell’ultimo Rapporto del Consiglio delle Nazioni Unite in sede di Universal Periodical Review ci è stato ricordato che il nostro Paese non ha adempiuto a vari obblighi posti dal diritto internazionale dei diritti umani, tra cui quello della criminalizzazione della tortura e quello di istituire un organismo indipendente di controllo dei luoghi di detenzione. Proprio come accade in Kazakistan. Ambedue i Paesi hanno firmato e ratificato le Convenzioni Internazionali senza poi implementarle nei propri territori.

La brutta vicenda kazaka ci dovrebbe portare a riflettere intorno al nostro ordinamento e al suo essere monco in materie così sensibili rispetto alla democrazia e allo stato di diritto. Per questo ci appelliamo alle ministre della Giustizia e degli Esteri, Cancellieri e Bonino, affinché portino in consiglio dei ministri un disegno di legge governativo che colmi queste insopportabili lacune, ovvero che introduca il delitto proprio di tortura nel codice penale e istituisca un organismo nazionale di controllo di tutti i luoghi di detenzione.

*Presidente Antigone