La recentissima liberazione di Malek Adly, avvocato egiziano impegnatosi fin da subito nel caso del sequestro ed assassinio di Giulio Regeni, è una grande notizia. Dimostra che è possibile aprire una crepa nel muro di omertà e impunità dietro il quale si cela l’operato del regime di Al Sisi e che abbiamo occasione di constatare giorno per giorno riguardo la richiesta di verità e giustizia sulla tragica fine di Giulio. Non va però abbassata la guardia, né lasciato cadere il silenzio sull’Egitto. Ce lo ricordano i casi ancora irrisolti di altri attivisti difensori dei diritti umani, quali Alaa Abdel Fattah, o dei lavoratori e sindacalisti dei cantieri navali di Alessandria d’Egitto oggi di fronte ad un tribunale militare per aver rivendicato i propri diritti.

Le loro storie sono le storie di migliaia di «difensori dei diritti umani». Quelle di Diana Sacayan, attivista trans argentina, uccisa brutalmente per la sua lotta contro la transfobia e l’omofobia, di Suzette Jordan, indiana uccisa per il suo impegno contro la violenza sessuale, o di Hande Kadere, attivista trans turca uccisa di recente dopo essere stata orribilmente torturata. O di chi si attiva per difendere la propria terra, come Berta Càceres e le centinaia di donne ed uomini, attivisti ed attiviste per i diritti ambientali ed indigeni, che hanno perso la vita nel corso dell’ultimo anno, come denunciato da Global Witness, per il loro impegno a favore dell’ambiente.

Nel suo rapporto “On dangerous grounds” pubblicato a giugno l’organizzazione denuncia l’omicidio di almeno 185 attivisti e attiviste in 16 paesi. La maggior parte dei casi è stata registrata in Brasile (50) seguito dalle Filippine (33) e dalla Colombia (26), e la principale causa i conflitti sulle miniere, dighe ed estrazione di legname. Il 40% circa delle vittime apparteneva ad un popolo indigeno. Questa emergenza è al centro del lavoro del Relatore Speciale Onu sui difensori dei diritti umani Michel Frost, che nel suo ultimo rapporto denuncia un aumento allarmante di casi di omicidi, minacce e persecuzioni per migliaia di attivisti in ogni parte del mondo, una tendenza che è aggravata dal pretesto della «lotta al terrorismo».

Nei giorni passati, in occasione del suo 39esimo Congresso svoltosi a Johannesburg, la Federazione Internazionale dei Diritti dell’Uomo (Fidh) ha adottato una risoluzione sui difensori dei diritti umani nella quale sottolinea come la sicurezza dei difensori dei diritti umani sia aggravata dalla mancanza di visibilità del riconoscimento del loro ruolo, dell’impunità dei responsabili delle violazioni, e dell’insufficiente riconoscimento delle categorie di difensori dei diritti umani. Giacché oggi per difensori dei diritti umani, si intendono anche in senso largo giornalisti, avvocati e giuristi, attivisti per l’ambiente e i diritti dei popoli indigeni, chi resiste ai crimini ambientali e sociali delle imprese e chi lotta accanto a rifugiati e migranti.

La Fidh denuncia gli assassinii di difensori dei diritti umani compiuti nello scorso anno in Azerbaijan, Bangladesh, Brasile, Birmania, Burundi, Cambogia, Camerun, Repubblica Democratica del Congo, Guatemala, Honduras, Iraq, Kenya, Libia, Pakistan, Sudafrica, Siria, Thailandia e Filippine e gli arresti arbitrari di attivisti cui viene negato il diritto ad un processo equo in molti altri paesi. Per non dimenticare le campagne contro le organizzazioni per i diritti umani come in Palestina o Israele. Per far fronte a questa strage silenziosa l’Unione Europea ha adottato alcuni “orientamenti” in materia di difensori dei diritti umani.

Irlanda, Finlandia, Spagna, ed Olanda e Repubblica Ceca sono stati tra i paesi più attivi nello sforzo di dare attuazione a queste linee guida poi recepite anche da Francia ed Inghilterra e da paesi non Ue, quali Svizzera e Norvegia. Molti di questi paesi hanno già programmi di protezione dei difensori dei diritti umani e di “asilo temporaneo” per chi dovesse lasciare il suo paese per un determinato periodo di tempo. La Ue ha a disposizione vari strumenti di pressione e tutela a favore degli attivisti dalle missioni sul campo, alle attività di monitoraggio dei processi, ai contatti e dialogo politico con le autorità locali (i cosiddetti “demarche”).

L’Unione ha anche predisposto una Piattaforma di Coordinamento per l’Asilo Temporaneo dei Difensori dei Diritti Umani (European Union Human Rights Defenders Relocation Platform – Eutrp). L’Ong Olandese Justice and Peace – lavora ad un programma di città rifugio sponsorizzato dal Ministero degli affari esteri, il quale segue ora una procedura accelerata per la concessione di visti d’urgenza ai difensori dei diritti umani sotto minaccia. In Irlanda il Ministero degli Esteri ha predisposto un servizio di assistenza e coordinamento delle attività di supporto e di concessione di visti umanitari. Anche la Spagna si è dotata di buone pratiche allo stesso scopo mentre il Ministero degli Esteri finlandese ha proprie linee guida per l’applicazione degli Orientamenti Ue.
Non risulta che il governo italiano si sia mai attivato. Eppure potrebbe farlo anzitutto istituendo presso la Farnesina un punto di riferimento per la protezione degli attivisti per i diritti umani ed il rilascio dei visti per l’asilo temporaneo, aderendo alla Piattaforma Europea per l’accoglienza temporanea dei difensori dei diritti umani e elaborando sulla scorta di quanto fatto fa altre Cancellerie europee, una serie di linee guida per le ambasciate ed il corpo diplomatico. Altre azioni potranno poi essere messe in campo dall’Agenzia per la Cooperazione e dagli Enti Locali per creare canali di finanziamento e sostegno a attività di protezione dei difensori dei diritti umani, ad esempio attraverso i corpi civili di pace, e di accoglienza diffusa. E’ giunto quindi per il Parlamento e il governo il momento di prendere posizione, schierandosi definitivamente e senza esitazioni a fianco di chi spende la propria vita per i diritti umani e la democrazia, al di là della facile retorica o del predominio degli interessi della realpolitik. Se non ora quando?