Da quanto si sta muovendo all’interno della Convenzione costituzionale, sembrerebbe davvero che il Cile sia deciso a voltare pagina. Forti aspettative ha suscitato infatti, il 27 gennaio, l’approvazione, da parte della commissione sul Sistema politico, della norma che trasforma il Cile in uno «stato plurinazionale e interculturale», con il conseguente riconoscimento del diritto dei popoli originari all’autonomia e all’autogoverno.
Come pure, due giorni prima, aveva risvegliato grande attenzione il via libera della commissione Ambiente all’iniziativa popolare sui «diritti dei popoli e delle nazioni preesistenti alla terra, al territorio, alle risorse e ai beni naturali», in base a cui verrebbero annullate autorizzazioni e concessioni per lo sfruttamento di suoli, acque e foreste all’interno dei territori indigeni.
E stesso risalto ha assunto l’1 febbraio, sempre in commissione Ambiente, il voto a favore della nazionalizzazione di risorse strategiche come il rame e il litio, in virtù del «diritto sovrano e inalienabile dello stato a disporre liberamente delle proprie ricchezze».

NORME, QUESTE, che non sono passate inosservate agli occhi degli imprenditori. Se il presidente della Società nazionale mineraria Diego Hernández ha parlato di «un cattivo segnale» che «non contribuisce al clima di certezza giuridica di cui ha bisogno il settore», il presidente della Confederazione della produzione e del commercio Juan Sutil si è precipitato dalla presidente della Convenzione María Elisa Quinteros per ricordarle che il Cile potrà pure diventare plurinazionale, ma che risulterebbe inconcepibile annullare le concessioni alle imprese «che rendono possibile lo sviluppo» nell’Araucanía. Come se il diritto all’autodeterminazione dei mapuche possa conciliarsi con l’attuale modello di saccheggio delle terre che sono state loro usurpate.
Ma se gli imprenditori annunciano battaglia, i paletti introdotti in difesa dello status quo dall’accordo che ha reso possibile la Convenzione offrono all’oligarchia sufficienti rassicurazioni. Ad attendere infatti tali norme, approvate «in generale» dalle commissioni tematiche con una maggioranza superiore al 50%, sarà, dopo l’esame dell’articolato, la prova del voto in plenaria, dove il quorum è, come noto, quello dei due terzi e dove quindi è assai improbabile che possano ottenere il via libera, almeno nella loro stesura originaria.

SI È INTANTO CONCLUSO con un successo superiore alle aspettative il processo attraverso cui la cittadinanza ha potuto partecipare ai lavori della Convenzione, presentando le proprie proposte di articoli costituzionali. Più di 980mila le persone che hanno sostenuto qualcuna delle oltre 1.500 iniziative presentate, di cui 78 hanno ottenuto le 15mila firme (provenienti da almeno quattro regioni) necessarie per venire discusse da una delle sette commissioni tematiche, prima di finire anche loro nel prevedibile tritacarne della plenaria.
Tra queste, le norme per il diritto alla salute sessuale e riproduttiva, per i diritti della natura, per un’educazione statale, pubblica e comunitaria, per il lavoro e la sicurezza sociale. Ma anche per il riconoscimento della responsabilità politica e penale di Piñera per le violazioni dei diritti umani e per la libertà dei prigionieri politici della rivolta sociale.