Diritti al vaglio in 160 capitoli-paesi. La lente è quella di Amnesty international, che ieri ha presentato a Roma il rapporto annuale 2014-15. Il volume dal titolo La situazione dei diritti umani nel mondo, edito da Castelvecchi, è reperibile anche in libreria. Fornisce panoramiche e previsioni dai cinque continenti e «messe in guardia sulle tendenze dei prossimi anni».

Amnesty ritiene necessario un «fondamentale cambiamento d’approccio» e perciò bacchetta «gli attori chiave a livello internazionale»: devono smetterla «di dire che non c’è niente da fare» per affrontare i conflitti nelle loro vecchie e nuove forme, per accogliere chi fugge dalle guerre e per fermare la «minaccia rappresentata dal crescente potere dei gruppi armati». Ormai – dice Salil Shetty, Segretario generale dell’associazione – la situazione ha raggiunto il punto più basso, occorre un vero cambio di indirizzo. «Da Washington a Damasco, da Abuja a Colombo, i leader di governo hanno giustificato orrende violazioni dei diritti umani sostenendo che era necessario commetterle in nome della sicurezza. In realtà, è semmai vero il contrario. Questo tipo di violazioni è uno dei motivi principali per i quali oggi viviamo in un mondo tanto pericoloso. Non può esserci sicurezza senza rispetto dei diritti umani».

Un rispetto che manca, in Italia, nei confronti di rom e migranti. I primi hanno continuato a essere segregati a migliaia nei campi, e la discriminazionei loro confronti è tutt’altro che diminuita. Solo a Roma sono oltre 4.000 le persone che vivono in condizioni estrema privazione e precarietà. I rom sono rimasti esclusi dall’accesso agli alloggi di edilizia popolare. Non è stata ritirata una circolare del gennaio 2013 che li discriminava al riguardo. Tuttavia a giugno – rileva il Rapporto – a seguito dell’inchiesta sulla Direttiva sull’uguaglianza razziale, le autorità «hanno espresso l’intenzione di applicare la circolare in modo non discriminatorio».

Sempre molto allarmanti i dati sui migranti e sulle morti in mare. Oltre 170.000 rifugiati e migranti, fra i quali più di 10.000 minori non accompagnati sono arrivati in Italia via mare, in maggioranza provenienti dalla Libia. A fine ottobre, l’operazione Mare Nostrum aveva salvato oltre 156.362 persone. Ma la decisione di interrompere l’operazione per avviare la Triton – di portata ben più limitata e centrata sul controllo dei confini come determina l’agenzia per la sorveglianza delle frontiere, Frontex, – ha fatto accrescere la propabilità di altre morti in mare. E intanto – denuncia Amnesty – non ci sono stati progressi nelle indagini sulla morte di oltre 200 persone, annegate l’11 ottobre del 2013. Allora, affondò un peschereccio che trasportava più di 400 migranti e rifugiati siriani. E resta il sospetto di gravi ritardi nei soccorsi da parte delle autorità maltesi e italiane.

Amnesty rileva anche l’uso eccessivo della forza nell’identificazione di migranti e rifugiati, seguita all’indirizzo del ministero dell’Interno. E torna a posare l’accento sulla condizione di sfruttamento e violazioni a cui sono esposti i migranti senza diritti che non possono rivolgersi alla giustizia. Pollice verso per l’Italia anche sui decessi in carcere o sotto custodia e per maltrattamenti e torture. Ancora una volta – lamenta Amnesty – «i tentativi d’inserire il reato di tortura nella legislazione nazionale non sono andati a buon fine, perpetuando così una violazione degli obblighi dell’Italia ai sensi della Convenzione delle Nazioni unite contro la tortura che dura da 25 anni». Nel 2014, ricorda l’associazione umanitaria, ricorrevano anche i trent’anni dall’adozione della Convenzione, per la quale Amnesty si è battuta e ha ottenuto – anche per questa battaglia – il Nobel per la pace nel 1977. Ma, dall’Africa all’Asia al Medioriente, dal Nordamerica all’America latina, i dati del Rapporto dimostrano che il cammino è ancora lungo. E per questo Amnesty ha lanciato la campagna globale «stop alla tortura».

Il capitolo sugli Stati uniti è purtroppo sempre ampio. Nonostante l’ammissione di Obama circa l’uso di torture in risposta agli attacchi dell’11 settembre, non c’è stato «alcun riferimento a iniziative per accertare le responsabilità e fornire riparazione»; né il presidente ha accennato «alla sparizione forzata» utilizzata per anni in base al programma segreto. Di torture, detenzioni arbitrarie e rigide restrizioni alla libertà d’espressione soffrono gli oppositori al regime in Arabia saudita e soprattutto le donne. Le “raccomandazioni” seguite all’Esame periodico del Consiglio per i diritti umani delle Nazioni unite sono state respinte o inascoltate, ma il regno resta al coperto delle alleanze che contano nello scacchiere mondiale. Il Rapporto registra anche i crimini di guerra e le violazioni commesse da Israele durante i 50 giorni di attacco alla Striscia di Gaza.

Ma la lente di Amnesty sembra appannarsi quando prende in esame la situazione dei diritti in Venezuela. Qui, l’indagine sulle proteste violente scatenate dall’opposizione oltranzista a febbraio del 2014 pare svolgersi a senso unico. Vengono citati due casi di vittime nel campo dei manifestanti, ma neanche una parola sulle morti e le aggressioni testimoniate nel rapporto sulle violenze e denunciate dal Comitato Vittime delle guarimbas (tecniche di guerriglia da strada che hanno provocato numerosi morti). Un capitolo che pare assumere, invece, il punto di vista dei leader della destra golpista, che girano per le sedi internazionali a chiedere legittimità e sanzioni.