«Chi siamo noi per giudicare i gay». Basterebbe parafrasare il Papa per troncare sul nascere l’ennesima stucchevole discussione su gay e omofobia. Se non fosse per la proterva e a tratti patetica ostinazione di una parte del mondo cattolico ad opporsi ad ogni tentativo di introdurre nelle scuole elementi di riflessione, argomentati, seri, pacati, per attrezzare i giovani ad affrontare emergenze sociali vere e proprie quali gli omicidi delle donne e l’omofobia, causa spesso di drammi e suicidi. L’oggetto di questa ennesima campagna “moralizzatrice” in cui si distinguono esponenti governativi di centrodestra ha come bersaglio una direttiva del governo Monti che stabiliva la necessità di corsi di aggiornamento per gli insegnanti, di formazione alla «diversità». Parola che terrorizza i prudenti vescovi della Cei, anche loro in prima fila in questa campagna. Campioni di intolleranza e paure. Mentre oggi è sempre più necessario, in un mondo complesso e plurale, confrontarsi con le tante diversità che ci attraversano. Alle quali non possono che corrispondere uguali diritti, soprattutto quello di cittadinanza, di agibilità umana e civile.

È di questo abc della democrazia di cui bisogna ragionare con ragazze e ragazzi , altro che «indottrinamento». Perché allora attardarsi a predicare la paura e il rifiuto? E soprattutto nel luogo più sensibile, la scuola, territorio di quel processo straordinario e difficile che è la crescita di ogni individuo. La cui linfa è la conoscenza e l’apertura al mondo nella sua complessità. Per superare paure e fragilità, paura del diverso da sé, ma anche, spesso, del diverso che è in sé. Invece, per i fautori di una morale ipocrita e triste, il messaggio è che a scuola non se ne parla, non se ne deve parlare. Salvo poi piangere lacrime tardive ad ogni episodio di suicidio di ragazzi perseguitati dal bullismo a causa della loro, spesso solo presunta, omosessualità, o di ragazze perché perseguitate da un nuovo e pericoloso machismo. Cos’altro fare, in una situazione così difficile, anche se non inedita, se non permettere ai docenti di attrezzarsi, anche con un corso di pochi giorni, per riflettere su questi fenomeni e attrezzarsi a gestirli?

E invece una circolare di pochi giorni fa invitava a bloccare ogni iniziativa. Ma perché ancora tanto terrore per ogni cosa che attiene al sesso da una chiesa che nella sua vita di base è mille volte avanti a certe organizzazioni, ad esponenti politici che ad essa si richiamano ed ai suoi vescovi, almeno a quelli delle gerarchie organizzate? Sembra di risentire i lamenti al tempo del divorzio, o dell’aborto. Se passa questa idea di accettazione della diversità dicono alla Cei allora tutti diventeranno omosessuali. Come se dopo il divorzio le coppie fossero state costrette a separarsi, o le donne ad abortire per forza dopo la legge.

Il Paese è andato avanti velocemente, e la Chiesa anche, nelle sue espressioni di base e nella sua massima, il Papa. Gli esponenti del governo che strepitano contro gli aggiornamenti “diversi” del “depravato” governo Monti farebbero bene ad ascoltare le voci dei ragazzi perseguitati solo per le loro preferenze sessuali, oltraggiati, perseguitati, offesi come le vittime della pedofilia dei preti. Vittime alle quali il Papa ha riconosciuto un ruolo fondamentale di ascolto e di protagonismo inserendo una di loro nella commissione appena costituita contro le violenze sui minori.

Per fortuna la scuola italiana è più avanti anche delle stesse disposizioni governative o dei divieti. Perché in quei luoghi si ha a che fare con la responsabilità dell’educare, con la responsabilità enorme di avere a che fare col presente e il futuro di persone in carne e ossa e col contesto in cui vivono. Gli insegnanti sanno cosa fare, e i ragazzi sanno ascoltarli. Mentre purtroppo «gli stolti si affollano dove gli angeli esitano».

* assessore al diritto allo studio e alla formazione della Regione Puglia