Chiudono i seggi e in città diluvia. Si aprono le urne: per il Pd piove sul bagnato. Già prima dell’una è acclarata ufficialmente la sconfitta del sindaco uscente Roberto Cosolini: 60 anni, due figli, una vita dietro la scrivania della Cna, dell’Ente zona industriale, in Regione e infine dal 2011 in municipio.

Trieste chiude la parentesi del centrosinistra, dopo quella «civica» di Riccardo Illy. Il ballottaggio rimette nella stanza dei bottoni Roberto Dipiazza: con 236 sezioni scrutinate su 238 ha 44.433 preferenze pari al 52,6% contro 39.986 (47,3%) del rivale. È l’addio al sistema dell’«alabarda sussidiaria», già travolto dalla devastante sferzata di bora al primo turno.

Vince la nostalgia, perché Dipiazza (che siede in consiglio regionale) aveva indossato la fascia tricolore dal 2001 al 2011. Partiva dal 40,8% dei consensi e ha puntato ad allargarli oltre la coalizione (Fi, Lega, FdI), calamitando insieme alle civiche nostalgiche anche una fetta di elettori del M5S.

Nella prima sezione scrutinata, vince 19 a 7. Intorno a mezzanotte la tendenza si consolida. La forbice non si chiuderà più. Cosolini, da ex giocatore di basket, ha comunque giocato la sua partita fino all’inappellabile suono della sirena.

Il successo di Dipiazza sancisce la rivincita dell’anima radicalmente triestina. Non basta l’apertura di Eataly all’ex Magazzino Vini (annunciata da Oscar Farinetti per ottobre) a far digerire gli umori dei commercianti locali. Né la rigenerazione turistica ad occultare le paure dell’Europa melting pot nel cuore del Nord Est che sopravvive sul confine dell’ex Yugoslavia.

La sconfitta di Trieste suona come il peggior campanello d’allarme per il Pd di Debora Serracchiani. Il capoluogo è strategico, in vista della rincorsa alla conferma nelle Regionali 2018. L’autosufficienza renziana, la deferenza nei confronti dei poteri forti e i grandi o piccoli “cerchi magici” non sembrano proprio reggere più. Rispetto alle Europee 2014 la «forza propulsiva» del Pd è stata rottamata dall’astensionismo, dal verbo di Grillo e dai crack delle secolari Cooperative Operaie a Trieste e Coop Carnica di consumo in Friuli.

Così si torna al futuro: nei prossimi giorni arriva la giunta Dipiazza-3 con l’inevitabile nomina a vice sindaco del leghista Pierpaolo Roberti (1.095 preferenze personali) e quella più che probabile di Marina Monassi, già amministratore unico di Portovecchio Srl e direttore generale della multiutility AcegasAps. E dall’altra parte del Friuli scocca l’ora del trionfo di Alessandro Ciriani a Pordenone. L’ex presidente della Provincia (49 sezioni su 52) vanta il 58,7% dei consensi: il centrosinistra di Daniela Giust si arena al 41,3%.

Dalle urne del Veneto rimbalzano altri sintomi di democrack per un partito incapace perfino di organizzare il congresso straordinario, invocato un anno fa dopo il flop di Alessandra Moretti. Cade perfino Este (Padova), ultima “roccaforte” degli eredi del ministro Carlo Fracanzani. Il nuovo sindaco è Roberta Gallana, imprenditrice forzista, che trionfa con il 57,2% ai danni del candidato espressione dell’intesa fra Pd e Udc.

Ma la più eclatante vittoria è del M5S a Chioggia, 49 mila abitanti sull’altra sponda lagunare del sistema Mose. Il sindaco uscente Giuseppe Casson (Udc più Lega) è in ginocchio con poco più del 40% dei voti. Lo sostituirà Alessandro Ferro, 41 anni, architetto, sposato con una figlia piccola. Ha convinto la maggioranza al ballottaggio all’insegna di «partecipazione, trasparenza, sostenibilità ambientale». È una svolta epocale nel Veneziano, ormai orfano della “ditta”. Due settimane fa aveva già vinto Andrea Danieletto a Vigonovo, comune della terraferma ai confini con Padova.

Tutto era cominciato a Mira, il “soviet” della Riviera del Brenta: sempre al ballottaggio Alvise Maniero, universitario di 26 anni aveva nel 2012 umiliato il candidato sindaco deciso nelle stanze del Pd.