Una pubblica amministrazione sempre più rimpicciolita e vecchia, nonostante lo sblocco del turnover. Una Pa che, causa pandemia, è stata costretta ad usare il lavoro a distanza e che ora tenta – con grande difficoltà – DI renderlo strutturale. È la fotografia del Forum Pa, inaugurato ieri in forma digitale. I dati snocciolati non sono inediti ma sono stati scomposti in maniera efficace e fanno ancora più impressione. Nel decennio 2008-2018 la Pa ha perso 212mila persone – di cui ben 41mila nel comparto sanità – pari al 6,2% del personale, arrivando a quota 3,2 milioni. In Italia 13 lavoratori su 100 lavorano nel pubblico, in Francia il 20%, nel Regno Unito e Spagna il 16%. Rispetto al totale dei residenti, il dato italiano è il meno elevato: 5,5%, contro l’8,4% della Francia, il 7,8% del Regno Unito e il 6,7% della Spagna. In valori assoluti, la Pa italiana ha il 70% dei dipendenti della Germania, il 65% dell’Inghilterra e il 59% della Francia. La Pa italiana continua a invecchiare: l’età media sale a 50,7 anni, sette anni in più dal 2001 a oggi. I lavoratori con più di 60 anni sono circa 546mila (16,9%), sei volte più numerosi dei giovani. A fronte di 3,2 milioni di impiegati, i pensionati pubblici sono 3 milioni e nonostante il flop di Quota 100 – nel 2019 solo 90 mila uscite contro le preventivate 150 mila – il trend sarà in aumento anche perché i nuovi assunti sono pochi: 12mila nuove assunzioni e 1.700 stabilizzazioni di precari, nel solo 2018. C’è lo sblocco del turnover, ma le procedure sono lente e la media tra emersione del bisogno e effettiva assunzione dei vincitori dei concorsi è di 4 anni.
Il ricorso (forzato) allo smart working durante l’emergenza Covid-19 – secondo un sondaggio del Forum – ha portato a un aumento di produttività: per 7 lavoratori su 10 è stata assicurata totale continuità al lavoro, per il 41,3% l’efficacia è persino migliorata; per il 61% la nuova modalità prevarrà anche finita l’emergenza.
«Puntiamo a mantenere lo smart working non in maniera ordinaria come nella fase emergenziale, ma tra qui e fine anno per il 50% dei lavoratori che svolgono attività eseguibili in modalità agile. E, da gennaio, al 60% attraverso il Pola (Piano organizzativo del lavoro agile)», ha annunciato la ministra per la Pa Fabiana Dadone, facendo riferimento a un emendamento passato alla camera sul decreto Rilancio.
Rimangono però molti problemi. Gli investimenti in formazione si sono quasi dimezzati passando dai 262 milioni del 2008 ai 154 milioni del 2018: 48 euro per dipendente. «La formazione deve diventare uno strumento incardinato nei diritti dei lavoratori», ha commentato la segretaria generale Fp Cgil Serena Sorrentino avanzando la proposta al ministro per la Pa Fabiana Dadone di inserire nei prossimi rinnovi contrattuali «il diritto alla formazione continua».
«I lavoratori pubblici italiani oggi sono pochi, anziani e poco qualificati – afferma Gianni Dominici, dg del Forum – . Sono positive le nuove norme che accelerano i concorsi, ma se si opterà su un semplice rimpiazzo invece che su assunzioni basate sull’individuazione dei fabbisogni c’è il rischio di sprecare un’occasione irripetibile».