«In Sudamerica, sta cominciano a nascere una nuova dottrina di pace che riuscirà a cambiare il mondo». Con queste parole, il presidente del Venezuela, Nicolas Maduro, ha commentato la decisione unanime e ferma espressa dagli undici governi (oltre al suo) presenti nel blocco regionale di Unasur. A Quito, in Ecuador, l’Unione delle nazioni sudamericane ha votato compatta contro il decreto degli Stati uniti, che ha definito il Venezuela «una minaccia e un rischio straordinario». Il discorso di Obama ha provocato una levata di scudi, dentro e fuori dell’America latina. Domenica, le piazze di mezzo mondo (anche Piazza di Spagna) si sono riempite di scritte che dicevano: «Venezuela si rispetta e Yankee go home».

Hanno protestato anche Cina e Russia e il vicepresidente della Bolivia, Alvaro Garcia Linera, ha riassunto così il sentimento generale: «L’America latina si sta giocando il proprio destino in Venezuela. Il Venezuela non è un pericolo per nessuno. Se cade, l’America latina ha perso. Il Venezuela è la chiave dell’America latina, è stata l’inizio, e non deve essere l’inizio della fine. Quello che succede in Europa – ha aggiunto – lo abbiamo visto, è quel che succedeva in America latina vent’anni fa». In Venezuela, il grottesco discorso di Obama ha suscitato reazioni stizzite persino nel cardinal Urosa, solitamente molto schierato con l’opposizione, e anche in qualche deputato della Mesa de la Unidad democratica (Mud).

Le destre che premono per un intervento militare Usa, invece, gongolano, ma devono vedersela con i malumori pre-elettorali al proprio interno. Unasur si è detta disposta ad accompagnare la prossima tornata delle parlamentari, la cui data non è ancora stata fissata. E la corte d’Appello ha rifiutato la libertà al leader di Voluntad popular Leopoldo Lopez. Maduro ha ottenuto dal Parlamento di poter legiferare per decreto per i prossimi nove mesi. E sabato un imponente schieramento civico-militare ha fatto sfilare le Forze armate e le milizie popolari: per la pace, ma anche pronti all’autodifesa.
Il presidente dell’Assemblea, Diosdado Cabello, ha commentato ironicamente le sanzioni emesse dagli Usa contro 7 funzionari venezuelani, accusati di aver «violato i diritti umani dell’opposizione», ma anche di «perturbare i flussi finanziari» degli Usa: «Quei funzionari – ha detto – non hanno conti negli Usa, in compenso ne hanno i banchieri che sono scappati a Miami con i nostri soldi: rimandateli indietro e restituitecene almeno la metà».
E mentre il Venezuela protesta con il governo della Guyana che ha consentito alla multinazionale Exxon l’accesso alle acque nella zona di Esquibo, che Caracas considera di sua giurisdizione, piovono su Maduro anche le micidiali sentenze del Ciadi. Il tribunale per i contenziosi, della Banca mondiale, ha imposto al Venezuela un indennizzo di 46,4 milioni di dollari alla compagnia petrolifera Usa Tidewar per gli espropri decisi da Hugo Chavez nel 2009. Exxon ha già chiesto 1.600 milioni di dollari.