Fabrizio Ferrazzi, laureato in filosofia ed ex insegnante, è morto due anni fa all’età di 51 anni. Appassionato di letteratura polacca, viveva a La Spezia ma per molti anni si era dedicato all’azienda agricola di famiglia in Puglia. Cattolico, aveva frequentato la Polonia negli anni di Solidarnosc e partecipato alle grandi manifestazioni durante la visita di Wojtyla nel 1983. La sua fede religiosa assunse allora anche il significato politico di opposizione ad ogni forma di autoritarismo. Durante il G8 di Genova è stato picchiato selvaggiamente dalle forze dell’ordine in Piazza Novi, arrestato e portato prima in una stazione della polizia stradale e poi nel lager di Bolzaneto. Trattato sadicamente, umiliato e deriso, non si è mai ripreso. Non amava parlare della sua disavventura, preferiva cambiare argomento. Aveva problemi di salute fisica che la violenza subita aggravò di molto. Più forti sono state le ferite psichiche. Se ne andato dalle umane sofferenze di sua volontà in punta di piedi. Fabrizio fu coinvolto nei disordini andando incontro, per proteggerla, a una donna che in evidente stato di esaltazione camminava in mezzo al lancio di lacrimogeni e di pietre ripetendo: «Dio non vuole questo». Gli è andata male perché un’opposta esaltazione dei poliziotti pretendeva, invece, che la volontà di Dio fosse proprio questa: guerra senza quartiere con i dimostranti. Le forze dell’ordine che si esaltarono in una repressione cieca non erano composte da atei o agnostici ma (in massima parte) da credenti. C’è chi in Dio cerca il garante dell’amore per il prossimo e della tutela dei deboli e c’è chi lo vuole protettore dell’ordine costituito. La ricerca di forze sovversive con cui scontrarsi (agli estremisti che si affacciano ponti d’oro), l’invenzione di un pericolo pubblico da combattere, non era solo strategia della tensione da parte del governo di allora; obbediva anche alla necessità psicologica di coloro che all’interno della polizia si sono fatti espressione di una violenza tanto spietata quanto impersonale contro il dissenso, di rimuovere la natura vera, profondamente mortifera, della loro azione. A Genova dodici anni fa è andata in scena non una difesa contro il disordine, strumentalmente supposto incontrollabile e sovversivo, ma la distruttività di un ordine pietrificato nella sua autoreferenzialità e privo di funzione vitale. Questo ordine non è un modello sociale e, al di là delle apparenze, non è implicato in uno scontro con forze sociali antagoniste: è un’organizzazione psichica che si calcifica nelle classi dominanti parassitando gli apparati dello stato. La sua legge è la necrofilia: la riduzione dell’oggetto del desiderio a strumento inerte. Qui il sadismo è un effetto secondario, un piacere surrettizio che inganna i sensi. Fabrizio Ferrazzi, un uomo giusto, si è trovato nel posto più sbagliato per lui: la sua fede nella libertà, priva di qualsivoglia aspirazione allo scontro, smentiva l’inganno di una battaglia di civiltà contro i barbari estremisti. Gli uomini costruiscono Dio a loro immagine e somiglianza. Per due giorni (un tempo psichicamente interminabile) Fabrizio ha visto il suo Dio della Vita sconfitto dal Dio della Morte.