Capita a volte che un singolo film esprima il pensiero nucleare di un’intera filosofia di cinema e che, al tempo stesso, contenga in esso il «tragico» destino dell’artefice, anche se questa certo non era l’intenzione originale. È questo il caso di Dimos Theos, cineasta-esploratore di pensiero che, a metà degli anni ’60, grazie alla lezione del film noir, del neorealismo italiano, della nouvelle vague francese e del cinema documentario, compì una sorta di rigenerazione «assimilativa» all’interno della cinematografia greca, girando il primo film apertamente politico, Kierion (1968-1974), in contrasto con il cinema commerciale finora dominante. Ambientando Kierion in tempi moderni, pur trattandosi del famoso «caso Polk» del 1948, Theos pone l’azione crea un non-tempo, un limbo in grado di denunciare e mettere in evidenza l’atemporalità delle strutture sociali. Questo nuovo tempo di connessione in Diadikasia (1976) diventa non solo emblematico ma, come detto in incipit, l’epifania di un’intera esistenza.
Il Mito di Antigone viene trattato non più in funzione spettacolare ma analizzando i meccanismi di costruzione dell’ordine costituzionale, visti da Theos come vera e propria base del tragico, soprattutto moderno. Il nucleo del dramma sofocleo risiede nello scontro fra due volontà e due concezioni del mondo (Theos e la Grecia, ça va sans dire): quella di Antigone, fragile ma fortissima moralmente, di rispettare le leggi non scritte della natura (phùsis) e quella di Creonte tesa a imporre la forza dello Stato e della legge (nomos).
Pertanto, il Mito diventa una dimensione senza tempo che può essere visualizzata anche attraverso l’era moderna mentre Antigone è lo specchio, ancora velato, nel quale il regista, e i suoi successivi personaggi, si riconosceranno. Tutti gli eroi del cinema di Dimos Theos infatti, in una lettura intuitiva e non programmatica, camminano lungo le traiettorie, mortali, di Antigone: Grigoris Lambrakis in Ekato Ores Thou Mai, lo studente Zadik di Kierion, Meitanos in Kapetan Meitanos, i eikona enos mythikou prosopou e per ultima Hannah in Elatis Xenos. Questi anti(eroi) sono tutte variazioni della tragedia Antigone poiché lottano per esprimere la stessa richiesta, una preghiera di libertà e di conoscenza di sé e resistono alla morte fino a quando una forza non ne annulla l’élan vital (non quello bergsoniano ma quello di Posidonio). Infine il «mito» di Antigone esprime tristemente il destino proporzionale che il regista ha riservato per sé e per il suo lavoro: opere dalla circolazione limitatissima (in Italia soltanto un paio di proiezioni di Kierion e la presenza di Diadikasia alla Mostra del Nuovo Cinema di Pesaro), censura (durante la dittatura dei colonnelli, Kierion non fu fatto circolare in Grecia fino al 1974), innumerevoli problemi di realizzazione nella Grecia stessa (quattro lungometraggi in quasi trent’anni senza dimenticare le distanze cronologiche che intercorrono fra un film e l’altro) fino a diventare lui stesso, oltre che Antigone, l’Elatis Xenos, lo straniero di Grecia.

*Dal catalogo del festival