Non è ancora la fine, è solo il secondo tempo della partita Copasir che si gioca tutta all’interno del campo del centrodestra. Il presidente del comitato per la sicurezza della Repubblica, la commissione parlamentare che si occupa di vigilare sui servizi segreti, il leghista Raffaele Volpi, ieri si è dimesso. Con tre mesi di ritardo, la legge infatti prevede che la guida del delicato organismo sia affidata sempre all’opposizione. Per questo Fratelli d’Italia la rivendica da febbraio. Insieme a Volpi si è dimesso anche l’altro leghista nel comitato, il senatore Arrigoni, che come lui aveva resistito potendo contare sulla lettera dei presidenti di senato e camera in cui si riconosceva la legittimità dell’attuale composizione del Copasir, rimandando la soluzione a un accordo tra i partiti.
Ieri la mossa di Salvini, che secondo il Pd e i 5 Stelle è stata indotta dalla loro decisione (concorde Leu che non ha però rappresentanti nel Copasir) di ritirarsi dai lavori del comitato. Non prima però di aver votato, sempre ieri – e all’unanimità – la richiesta al presidente del Consiglio di attivare un’indagine interna al Dis (dov’è appena arrivata la nuova direttrice generale Belloni) sul caso dell’incontro in Autogrill tra Renzi e l’agente segreto Mancini.

La mossa leghista però non risolve lo stallo, perché è accompagnata dalla richiesta di dimissioni anche degli altri componenti e dall’invito a rispettare integralmente la legge istitutiva del Copasir. Che prevede che cinque componenti su dieci siano dei gruppi di minoranza, dunque in teoria tutti di Fratelli d’Italia. Una soluzione paradossale, perché il partito di Meloni avrebbe in dote il 50% dell’organismo potendo contare solo sul 6% della rappresentanza parlamentare. Una soluzione anche impossibile, perché nessuno oltre i leghisti pensa sul serio di dimettersi. Anzi, l’unico altro commissario che aveva annunciato le dimissioni, Vito di Forza Italia, ieri le ha ritirare un minuto dopo le dimissioni di Volpi, perché ha intravisto la possibilità che la faccenda si sblocchi.

Possibilità ancora tutta da verificare e che non passerà per l’integrale rinnovamento del Comitato, visto che nemmeno i presidenti di senato e camera hanno il potere di revocare i commissari. Anzi, proprio Casellati e Fico – in una lettera di inizio aprile a Volpi – avevano indicato la necessità di rispettare il criterio della proporzionalità assieme al diritto dell’opposizione di guidare il comitato.
La soluzione resta quindi all’interno del centrodestra e si mischia con tante altre tensioni, come la scelta dei candidati alle amministrative e la sfida per la guida della coalizione – ieri Giorgia Meloni si è portata tanto avanti da toglierci il dubbio su come vorrà essere chiamata, se «la premier» o «il premier» (indovinate un po’).

Salvini naturalmente chiede qualcosa in cambio della rinuncia alla guida del Comitato sui servizi e ieri ha fatto anche capire cosa. «Gli amici dell’Iran non sono amici miei», ha detto, sbarrando platealmente la strada al candidato naturale di Fratelli d’Italia, l’attuale commissario nonché vicepresidente Adolfo Urso. Ex sottosegretario e viceministro al commercio estero (governi Berlusconi), Urso anni fa aveva deciso infatti di mettere a frutto l’esperienza, aprendo una società di consulenza alle imprese con un ufficio a Teheran.

La conclusione della partita non sarà facile. La guida del Comitato alla fine andrà al partito di Meloni, ma il candidato (l’unica donna nel Copasir è M5S) avrà bisogno dei voti della maggioranza. La Lega vuole che Fratelli d’Italia cambi cavallo, e preferirebbe che gli alleati puntassero su Ignazio La Russa, in modo da lasciare libera (e disponibile per compensazioni) la casella di una vicepresidenza del senato. Fatto sta che ieri proprio La Russa ha litigato con un altro vicepresidente di Fratelli d’Italia, questa volta alla camera, Fabio Rampelli, che aveva insistito sulla necessità di cambiare la legge sul Copasir per prevedere il necessario riequilibrio in casi come quello attuale. Non è il momento, ha detto La Russa, «Meloni mi ha incaricato di dire ufficialmente che non abbiamo obiezioni a derogare alla regola del 50% alle opposizioni». L’importante è trovare il nome per la presidenza.