Ieri sono stati registrati 2.257 nuovi casi positivi al coronavirus e 16 decessi causati dal Covid-19. I ricoveri in terapia intensiva sono saliti di ben 20 unità, e ora sono 323. Come ogni lunedì, i dati risentono del rallentamento delle attività diagnostiche del weekend. I tamponi eseguiti sono stati solo 60 mila, cioè la metà rispetto agli ultimi giorni. È dunque risultato positivo un test su 27, cioè il 3,7% dei tamponi eseguiti. Gli esperti ritengono che il contagio sia sotto controllo quando il tasso dei tamponi positivi rimane sotto il 2%.

Nelle regioni la situazione è molto eterogenea. Quella con più casi è la Campania, che ne ha registrati ben 431 nonostante il calo dei tamponi. Nella regione è risultato positivo un test su 11, cioè il 9%: un segnale che l’attività diagnostica non regge il passo del virus. Soffrono anche i reparti ospedalieri campani, con il 7% delle terapie intensive occupate dal Covid-19. Può sembrare un numero piccolo, ma i reparti di norma sono già occupati all’80% per altre urgenze e interventi. Dunque basta che la percentuale dei letti occupati arrivi al 20% (e diverse strutture sono già oltre questa soglia) perché le attività ordinarie subiscano sospensioni e ritardi. La Campania non è la regione messa peggio, tuttavia: in Sardegna e Liguria il Covid occupa oltre il 10% dei posti letto di rianimazione.

Anche secondo la Protezione Civile la situazione merita attenzione. Ieri è tornato a riunirsi il comitato operativo, il team che durante l’emergenza ha gestito la difficile fase del rifornimento di mascherine, di allestimento degli ospedali da campo, di trasferimento dei pazienti. Nella riunione, che per il momento non ha rilevato particolari criticità, è tornato in prima linea il capo del dipartimento Angelo Borrelli, un po’ scomparso dalla scena dopo l’era delle seguitissime conferenze stampa delle 18. Il comitato tornerà a riunirsi a ritmo regolare. Prolungare lo stato d’emergenza, che adesso appare una scelta obbligata, servirà a snellire le procedure se la risposta sanitaria dovesse richiedere nuovamente misure di urgenza.

Il temuto impatto delle scuole per ora non sembra particolarmente visibile nei dati. Ieri, in occasione della Giornata Mondiale degli Insegnanti, la ministra Azzolina ha comunicato i dati ufficiali del contagio nelle aule. Nelle prime tre settimane, hanno contratto il virus finora 1.492 studenti, 349 insegnanti e 116 amministrativi e tecnici degli istituti. Tra gli alunni, si tratta dello 0,021% del totale. Tra i docenti è lo 0,047%.

La popolazione scolastica ha rappresentato meno del 10% dei casi totali delle ultime due settimane (25 mila in tutto), nonostante rappresenti quasi il 15% della popolazione generale. Dunque le scuole non rappresentano luoghi particolarmente a rischio, almeno finché il clima non consentirà di tenere aperte porte e finestre. «I contagi nelle scuole, in questa fase, sono casi sporadici, e, per lo più, contratti fuori da scuola», ha detto la ministra. «Il sistema scolastico ha iniziato in sicurezza e sta tenendo perché si è attrezzato, con grande sacrificio di chi ogni giorno ci lavora o ci studia, e delle famiglie».

Si tratta di dati preliminari che necessiteranno di ulteriori revisioni e conferme, come quasi tutto quello che riguarda il virus. Un piccolo tassello di nuova conoscenza è giunto ieri da uno studio dello “Spallanzani” di Roma pubblicato sul Journal of Infectious Diseases. Esaminando le autopsie di 22 pazienti deceduti per Covid insieme ai colleghi dello University College di Londra, i ricercatori hanno evidenziato che la malattia aveva danneggiato pesantemente anche fegato, reni, milza e midollo, oltre a polmoni e cuore. I danni in questi organi sono presenti sia tra i pazienti con altre patologie che in quelli sani. Sarebbero dunque da attribuire all’azione del coronavirus o a una risposta immunitaria anomala da parte dell’organismo.