“È all’orizzonte: mi avvicino di due passi e lei si distanzia di due passi. Per tanto che cammini non la raggiungerò mai. A che serve l’utopia? Perchè io non smetta mai di camminare”. Ho sempre pensato che la visione di Eduardo Galeano fosse la più efficace rappresentazione dell’orizzonte spreco zero, che ci siamo dati vent’anni fa. Un traguardo che probabilmente non vedremo noi, né i figli dei nostri figli: eppure tendere in quella direzione ci è utile, indispensabile. Alle soglie dell’8^ Giornata nazionale di prevenzione dello spreco alimentare (5 febbraio), e ancora nelle more della crisi pandemica, ci conforta sapere che, chiusi nelle loro cucine, gli italiani hanno ripreso il filo rosso di un’antica e “abbondante sobrietà”. Familiarizzando con lieviti e farine, hanno restituendo attenzione e valore al cibo ma anche alla prevenzione del suo rovescio, lo spreco alimentare. È venuto il momento di alzare l’asticella: il nuovo decennio è un piano inclinato verso il 2030 e quegli Obiettivi di sostenibilità che non possiamo fallire. Al numero 12 c’è un traguardo determinante: dimezzare lo spreco alimentare pro capite al dettaglio e al consumo entro il 2030, con riduzione delle perdite alimentari lungo la catena di produzione e di approvvigionamento. Però non dimentichiamoci di chi non ha accesso al cibo: la povertà alimentare sta crescendo, in Italia come nel mondo. Una legge che renda obbligatorio il recupero di prodotti invenduti nei canali distributivi a fini caritativi non è la soluzione ma certo aiuterebbe ad alleviare la fame. Un’utopia? Forse, probabilmente. Ma siamo in viaggio.