Il diluvio nel deserto del Sahara. Quello che non ci aspetta, che neanche la fantasia più fervida potrebbe immaginare, è in corso. Da sabato 17 ottobre piove quasi quotidianamente nei campi profughi saharawi, nella provincia di Tinduf, in territorio algerino.

Al momento le previsioni meteo ipotizzano clima piovoso almeno fino al prossimo martedi 27 ottobre. Una situazione devastante, come sottolinea anche la rappresentanza italiana del Fronte Polisario, che in un comunicato ufficiale parla di «gravi danni alle abitazioni e alle strutture pubbliche», includendo in queste ospedali, dispensari e scuole.

Per comprendere quanto un fenomeno meteorologico come la pioggia possa avere conseguenze disastrose, va ricordato che i rifugiati saharawi vivono in tende e in alloggi abitativi estremamente fragili, perché costruiti con mattoni di fango e sabbia cotti al sole. Il susseguirsi dei temporali ha portato le mura di oltre tremila costruzioni letteralmente a sciogliersi in pochi giorni. Se a questo si aggiunge l’impraticabilità delle tende completamente intrise d’acqua, si capisce la drammaticità della situazione.

I campi rifugiati sono composti da cinque province, tutte colpite dagli eventi climatici estremi. Dakhla ha avuto la peggio, nessun abitato è rimasto in piedi. Danni consistenti sono stati registrati anche a Smara, Auserd e Bojador. Minore invece l’impatto distruttivo sulla provincia di El Aaiun.

Le frammentate informazioni che giungono parlano di oltre venticinquemila senza tetto che hanno perso ogni loro avere. Si registrano alcuni feriti a seguito dei crolli delle case. La viabilità ha risentito pesantemente dell’alluvione: sono interrotte le strade tra i centri urbani di Rabuni e Tinduf, oltre a buona parte dei collegamenti locali.

Un ospedale è completamente allagato e inutilizzabile, altre strutture ospedaliere hanno subito diversi danni e riescono a rispondere con grosse difficoltà all’aumentato bisogno di assistenza in corso. Dal punto di vista sanitario non si registrano al momento focolai infettivi ed epidemici, ma la situazione presenta dei rischi effettivi, dovuti al mescolarsi di acque reflue e piovane.

La Mezzaluna Rossa Saharawi in collaborazione con gli operatori dell’Agenzia delle Nazioni Unite e le istituzioni saharawi, sta cercando di quantificare i danni e di individuare le necessità più urgenti. I primi interventi di aiuto sono stati garantiti dalla protezione civile algerina di concerto con l’esercito della Repubblica araba democratica saharawi (Rasd), assieme a diverse associazioni e ong presenti con propri cooperanti sul territorio.

Al momento la situazione è gestita proprio dalla Mezzaluna Rossa, che in un comunicato ha dichiarato per l’area di Dakhla lo stato di catastrofe umanitaria. Acqua, cibo, vettovaglie, coperte e pronto intervento soprattutto per gli edifici di pubblica utilità, sono tra le priorità.

La macchina dei soccorsi si sta muovendo anche oltre confine. In prima fila il nostro paese che, come si legge in una nota diffusa il 22 ottobre dal ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale, ha approvato attraverso la Cooperazione Italiana la concessione di un contributo di emergenza di 200 mila euro, in favore dell’Alto Commissariato Onu per i Rifugiati (Unchr). L’intento è di sostenere l’operato dello stesso Unchr, delle altre organizzazioni operative sul posto, inclusa l’ong italiana Cisp. A supporto ulteriore è giunta il 23 ottobre una lettera a firma del senatore Stefano Vaccari (Pd), che come presidente del gruppo intergruppo parlamentare di solidarietà con il popolo saharawi, ha chiesto un’impegno fattivo agli oltre cento parlamentari iscritti al gruppo attraverso la creazione di una raccolta fondi.

La drammatica situazione dei campi profughi si colloca in un momento storico già particolarmente impegnativo per la popolazione saharawi, che proprio nel prossimo mese di dicembre ha in programma il Congresso nazionale (per il quale si vocifera uno slittamento), in occasione dei quarant’anni di esilio che ricorrono in quel periodo.

Le conseguenze del disastro umanitario in corso, non potranno che incidere ancor più su questo momento di confronto politico e sociale interno, riguardante le rivendicazioni territoriali che da quattro decenni sono inascoltate da tutta la comunità internazionale.