Dimissioni? Escluse. Scuse ufficiali? Non se ne parla. Però dopo il diluvio di critiche che lo ha subissato per quella sparata sui «Paesi del Sud che spendono tutto in alcol e donne e poi chiedono aiuto», anche da parte della stessa Commissione europea, il presidente dell’Eurogruppo e ministro olandese della Finanze Jeroen Dijsselbloem un passettino da formica indietro lo ha fatto: «Spiacente se qualcuno si è offeso». Voleva solo dire che «chi spende male i propri soldi poi non deve chiedere sostegno», ma l’appunto vale per tutti e l’accostamento ai Paesi del Sud «è stato molto infelice».

Di qui a dimettersi ce ne passa. Tanto più che l’olandese, tessera socialista in tasca, fede liberista nel cuore, carniere elettorale precipitato dal 25 al 5% alle recenti elezioni, ha subito incassato il prezioso sostegno tedesco. «Wolfgang Schaeuble – informa il portavoce del ministro delle Finanze di Berlino – apprezza il lavoro che Jeroen Dijsselbloem sta facendo. Contiamo sul fatto che l’Eurogruppo sia ancora perfettamente funzionante per il resto della legislatura».

A chiedere il passo indietro più fragorosamente di tutto ieri è stato Matteo Renzi: «Se vuole offendere l’Italia – scrive l’ex premier italiano su Facebook – lo faccia al bar dello sport sotto casa sua. Prima si dimette e meglio è». Per una volta la reazione italiana è stata davvero unanime, anche se il presidente del consiglio Paolo Gentiloni, come diplomazia impone, evita di pronunciarsi. Lo fa al suo posto il ministro dello Sviluppo Carlo Calenda, dando «perfettamente ragione» a Renzi nonostante il pessimo sangue che ormai corre tra i due.
Interviene persino Romano Prodi, con la battuta del giorno: «Ho percepito un grande senso di invidia».

Il reprobo ha giustificato la gaffe con la cultura nazionale: «La mia osservazione viene da una cultura olandese severa e calvinista ed era detta in modo diretto, all’olandese». Ma chissà se si è trattato davvero di una gaffe e non invece di un colpo ben calibrato e mirato con precisione. In parte Dijseelbloem , che rischia di perdere il posto perché dopo il crollo elettorale del suo partito vacilla il suo incarico alle Finanze olandesi e di conseguenza anche il posto all’Eurogruppo, cercava di ritagliarsi una posizione più sicura. Ma probabilmente c’è altro. Sta di fatto che l’intemerata ha riportato sotto i riflettori l’aspetto che le colombe, inclusa Angela Merkel,vorrebbero tenere invece quanto più possibile sotto traccia nella cerimonia di sabato prossimo a Roma: la tensione tra Nord e Sud dell’Europa.

Il punto dolente, a Roma, sarà quello che tocca i rapporti con i Paesi dell’Est, minacciati dalla retrocessione in una sorta di serie B dalla scelta delle «due velocità». La dichiarazione finale è stata rimaneggiata e ammorbidita sino a perdere quasi ogni sostanza. Verrà confermato che l’Unione europea è una e indivisibile ma ci potranno essere diversi «livelli di intensità» nell’integrazione. Non basterà a tranquillizzare i Paesi dell’Est ma neppure aumenterà la tensione. In questo modo, nonostante il nodo greco che ancora chiede per l’ennesima volta una soluzione, passerà in secondo piano la tensione tra Nord e Sud, quella che riguarda direttamente il rigore. Forse proprio questo volevano contrastare Dijsselbloem e dietro di lui Wolfgang Schaeuble.
E’ il fronte che vede l’Italia coinvolta più direttamente di ogni altro Paese. Ieri il presidente della repubblica Sergio Mattarella ha parlato con massima solennità dell’Europa alla Camera, in preparazione proprio dell’appuntamento di sabato. Lo ha fatto di fronte a un’aula tutt’altro che stracolma. Un discorso prevedibile, con il ripudio del sovranismo accostato alla denuncia (indiretta) dei limiti di un’Unione solo «tecnica e burocratica» e alla richiesta di modificare i trattati. Solo imprevisto ,la presenza in aula di Umberto Bossi, unico leghista a disobbedire all’ordine di disertare la seduta diramato da Salvini.

Ma anche se non se ne parla la tensione sul fronte dei rapporti tra Italia ed Europa c’è tutta. Il governo vorrebbe presentare la manovra aggiuntiva con largo anticipo sulla fine di aprile, per rassicurare l’Europa. Ottime intenzioni ma fondate su poca sostanza. Il contrasto con Matteo Renzi, la conquista delle posizioni chiave in tutte le società partecipate da parte di quest’ultimo e il conseguente probabile stop alla privatizzazione di Poste e l’opposizione del Pd all’aumento delle accise sulla benzina rendono impervio il sentiero della manovra aggiuntiva.
Alla fine il governo quei 3,4 miliardi li troverà, e comunque non andrà oltre il limite tassativo del 30 aprile. Ma quella cifra è una goccia nel mare, lo stato del rientro del debito è disastroso, le difficoltà e i contrasti che accompagnano la manovra di aprile non depongono a favore delle possibilità di invertire la tendenza.
Dunque il rischio di una procedura tra le più severe collegata al debito c’è tutto. Sabato campeggerà sullo sfondo della finta festa di Roma.