Con 155 sì, 125 no e un astenuto il Senato ha approvato in maniera definitiva un provvedimento dal titolo simbolicamente evocativo e politicamente contraddittorio: il «Decreto dignità». Avrebbe dovuto «riscrivere» («licenziare») il Jobs Act, mentre si limita a una manutenzione dei contratti a termine dagli esiti incerti. Avrebbe potuto cambiare le norme sul demansionamento o sul controllo a distanza, ripristinare (e aggiornare) l’articolo 18, ma continua a monetizzare i diritti dei lavoratori aumentando gli indennizzi per i licenziamenti illegittimi finanziati con una manovra sul «prelievo unico sui giochi» (Preu). Il “cambiamento” avviene nel quadro stabilito dal Pd nella scorsa legislatura.

Ieri in aula al Senato c’è stato un siparietto, una scena surreale. Dai banchi del Pd i senatori mostravano cartelli che indicavano «meno 8 mila contratti» che, secondo una stima prudenziale dell’Inps di Tito Boeri, potrebbero essere non rinnovati ogni anno a causa della stretta sui contratti a termine.

Il vicepremier Luigi Di Maio, presente alla votazione con il presidente del Consiglio Giuseppe Conte, ha ribadito la cifra della Ragioneria di Stato secondo la quale il prolungamento di un bonus istituito dal Pd per i neo-assunti under 35 porterebbe all’assunzione di 31.200 persone per due anni. Sono valutazioni che colgono una parte della realtà, ma il risultato potrebbe essere un saldo in equilibrio tra «accensioni» e «cessazioni» dei contratti.

Colpisce la modestia delle cifre. A giugno i contratti a termine erano oltre 3 milioni (dati Istat). La polemica sollevata dalle rappresentanze d’impresa contro la causale dopo 12 mesi – misura introdotta con la riduzione dei rinnovi da 5 a 4 e della durata da 36 a 24 mesi – è strumentale. Va ricordato che almeno più di un terzo dei contratti a termine – segmento cospicuo ma non unico del precariato in Italia – non dura 12 o 24 mesi, ma un mese. Secondo l’Inps il 35,4 per cento.

All’interno di questo aggregato i contratti di un solo giorno sono il 42 per cento, quelli di 2-3 giorni il 14 per cento (dati contenuti nel rapporto annuale 2018, riferiti al 2015). Le nuove norme sui contratti a termine entreranno in vigore dal primo novembre. Fino al 31 ottobre è prevista una «fase transitoria» che esclude le proroghe e i rinnovi dei contratti a termine in essere al 14 luglio scorso.

In un mercato del lavoro strutturato sulle attività occasionali, più incisiva sembra l’estensione dei voucher in agricoltura e nel turismo: se non nei numeri, ancora da verificare, certamente nella qualità del lavoro e per i diritti dei lavoratori. La norma sostenuta dalla Lega, e accettata dai Cinque Stelle, modifica i voucher previsti dalla legge 96 (esistono, non sono «reintrodotti», come dice la propaganda) ed è una deregolamentazione del contratto di lavoro agricolo che prevede forme ultra-brevi che contribuiscono alle richieste di disoccupazione degli stagionali.

Nel bilancino delle mediazioni gialloverdi questa misura è stata concepita per riequilibrare il malumore delle imprese sui contratti a termine. Se questi ultimi possono essere pur sempre intesi come una tutela limitata del lavoratore, per Cgil, Cisl e Uil i voucher sono il «salvacondotto del lavoro nero». La contraddizione è palese se si considera che i Cinque Stelle erano contrari ai voucher quando a Palazzo Chigi c’era Renzi e hanno appoggiato il referendum Cgil mentre Gentiloni lo ha aggirato con la nuova legge. Oggi che sono al governo, li estendono. Di queste giravolte si nutre un decreto pieno di «interventi parziali che non porteranno benefici se non sostenuti da un intervento serio e generale di contrasto alla precarietà» sostiene Tania Scacchetti (Cgil).

Tra le altre misure c’è l’obbligo della tessera sanitaria sulle slot machine, lo stop agli spot sul gioco d’azzardo, le sanzioni per le imprese che delocalizzano dopo aver ricevuto contributi pubblici, l’abolizione dello split payment per i professionisti e dello spesometro per i produttori agricoli con Iva agevolata, estesa al 2018 la compensazione delle cartelle esattoriali per imprese con crediti con la Pubblica amministrazione. È passata la norma contestata dai diplomati magistrali: le associazioni denunciano il rischio del licenziamento di migliaia di precari. Un emendamento di Liberi e Uguali al decreto Milleproroghe, approvato in prima lettura con il decreto dignità, è stato criticato dalla maggioranza. Dopo una prima bozza del «Decreto Dignità» è scomparsa la norma che estendeva il criterio della subordinazione ai lavoratori digitali. Avrebbe potuto dare una risposta alle lotte per i diritti dei riders.