Sono scesi in piazza per non dimenticare la strage nella Rsa, dove nei mesi dell’emergenza, in Piemonte, sono morte 3mila persone, di cui 2.500 per Covid. Per chiedere giustizia per i propri familiari. Perché venga ridata dignità a chi da quattro mesi vive isolato. E per sollecitare la Regione Piemonte a intervenire sulle Residenze, aumentando la copertura sanitaria.

Hanno appeso gli esposti e alzato i cartelli con i nomi delle vittime nelle diverse strutture. Ieri, si sono ritrovati in tanti, almeno centocinquanta, nonostante la pioggia, sotto la sede della Regione in piazza Castello. Sono il Comitato vittime Rsa, promosso dalla Fondazione promozione sociale. Dopo un minuto di silenzio per ricordare i deceduti, i parenti hanno soffiato nei fischietti per «svegliare la Regione».

Sono reduci da mesi di sofferenza. «Dimettere i malati Covid e sistemarli nelle Rsa è stata la cosa più grave avvenuta durante la pandemia, è allucinante avere preso quelle decisioni», ha detto Maria Grazia Breda, presidente della onlus che si batte per i diritti dei non autosufficienti, che, insieme a una delegazione di cinque familiari di vittime nelle Rsa, è stata ricevuta dal governatore Alberto Cirio «pronto ad avviare un confronto».

La delegazione ha consegnato le richieste del Comitato: una radicale riforma delle Rsa con un maggiore impegno sanitario (indispensabile una presenza medica sulle 24 ore, oggi assente) e investimento finanziario, la promozione di cure domiciliari e la riapertura delle visite ai parenti. L’assessorato alla Sanità, nelle ultime ore, ha inviato alle strutture le linee di indirizzo per la riapertura delle visite che possono avvenire «esclusivamente su appuntamento». «È importante – sottolinea Andrea Ciattaglia, portavoce della Fondazione che ha dato vita al Comitato – che venga ridata dignità e restituita normalità a persone che vivono confinate nelle proprie stanze da troppo tempo, sia con le visite dei familiari che con la ripresa di quelle prestazioni sanitarie e assistenziali finora negate». Sono almeno sessanta le segnalazioni di familiari di vittime raccolte, confluite negli esposti alle procure, che a vario titolo parlano di mancate comunicazioni da parte delle strutture, assenza dei dispositivi di protezione, assistenza deficitaria.

La questione Rsa è nazionale. Sono arrivati i risultati i dati finali dell’indagine dell’Istituto Superiore di Sanità e del Garante nazionale dei diritti delle persone detenute o private della libertà personale sul contagio Covid nelle Rsa, attraverso un questionario al quale hanno risposto 1.356 strutture pari al 41,3% di quelle contattate. Su 9.154 soggetti deceduti, 680 erano risultati positivi al tampone e 3.092 avevano presentato sintomi simil-influenzali pari a circa il 41,2%. Il picco dei decessi è stato riscontrato nel periodo 16-31 marzo. Il tasso di mortalità considerando i decessi di residenti con sintomi simil-influenzali è del 3,1%, ma incrementa fino al 6,5% in Lombardia.

Hanno risposto meno della metà, ma il garante nazionale Mauro Palma non valuta negativamente lo screening fatto su un campione larghissimo. Anzi, lo definisce «un’apertura di dialogo». «Abbiamo cercato di sondare – spiega – come durante l’emergenza siano cambiate le pratiche usuali nelle Rsa che, con la chiusura imposta dal lockdown, sono diventate strutture di privazione delle libertà de facto. Abbiamo registrato quasi 17mila contenzioni fisiche in 1.244 strutture. Il nostro obiettivo è stato comprendere quali sono i bisogni formativi e i rischi per gli operatori; conoscere i deficit culturali al fine di evitare di ripetere gli errori in caso di ricaduta».