Uno dei problemi delle campagne vaccinali di diverse nazioni africane riguarda la capacità di utilizzare le dosi acquistate sui mercati internazionali o donate nell’ambito del programma Covax delle Nazioni unite. Un pasticcio che ha diverse concause, alcune legate alla capacità logistica e di stoccaggio dei vaccini dei singoli paesi ed altre legate invece alle indicazioni, spesso contraddittorie, fornite da autorità sanitarie internazionali come la stessa Organizzazione Mondiale della Sanità.

Fino ad oggi sono 47, su 55, le nazioni africane che hanno ricevuto lotti di vaccino del programma Covax: 66 milioni le fiale promesse, solo 19 milioni quelle consegnate. In totale sono 48,6 milioni le fiale consegnate in Africa, 31,4 quelle utilizzate. 40 di questi paesi avevano sviluppato un piano di vaccinazione prima ancora che iniziassero ad arrivare le dosi di Covax.

All’inizio di maggio l’Oms suggeriva ai paesi africani di somministrare il maggior numero di prime dosi possibile, senza preoccuparsi di accumulare fiale per i richiami, per dare a quante più persone possibile almeno una copertura parziale. Meno di un mese dopo, il 27 maggio, l’Oms si dichiarava «allarmata» per la situazione, denunciando l’urgenza di reperire almeno 20 milioni di fiale per garantire la seconda dose ad altrettante persone.

Una contraddizione di cui ci si è resi conto troppo tardi: oggi il problema in molti paesi del continente è che mancano i vaccini, soprattutto AstraZeneca, per somministrare la seconda dose. Kenya e Ghana ad esempio, nel tentativo di alleviare la pressione, hanno esteso il periodo che intercorre tra prima e seconda dose da 8 a 12 settimane, ma non è certo che il problema sia risolto così. Anzi: il 3 giugno è stata l’Oms ad affermare che «le spedizioni di vaccini verso il continente si stanno quasi arrestando». Oggi Botswana, Costa d’Avorio, Swaziland, Libia, Lesotho, Marocco, Namibia, Ruanda, Togo e Tunisia non hanno più fiale.

Uno dei problemi dell’approvvigionamento riguarda inoltre i vaccini del programma Covax fabbricati in India, dal Serum Institute, che ha però tagliato le esportazioni per rispondere alle necessità interne.

Nella campagna vaccinale l’Africa continua ad essere, suo malgrado, il fanalino di coda del pianeta: se a livello globale 24 persone ogni 100 hanno ricevuto almeno la prima dose in Africa queste scendono drammaticamente a 2 ogni 100, un problema che, approvvigionamento a parte, sul campo si spiega anche con la carenza di infrastrutture e personale sanitario, ma anche con problematiche antiche, riguardanti la capacità di distribuzione dei vaccini, e con le incertezze relative alla sicurezza del siero. Che, ad esempio, hanno convinto i governi di Ciad e Zimbabwe a non somministrarlo.

Quasi 20 paesi africani hanno consumato più di due terzi delle loro dosi e le fiale arrivano a singhiozzo: nell’ultima settimana appena 115.000 in Burkina Faso e meno ancora in Ruanda e Togo, 100.000 fiale a testa.

L’ennesimo paradosso cui il mondo è abituato: «Mentre molti paesi al di fuori dell’Africa hanno vaccinato i loro gruppi ad alta priorità e sono in grado persino di prendere in considerazione la vaccinazione dei loro figli – afferma in un comunicato Matshidiso Moeti, direttore regionale dell’Oms per l’Africa – i paesi africani non sono in grado nemmeno di dare seguito a una seconda dose per i gruppi ad alto rischio», ragion per cui l’Oms esorta i paesi con scorte in eccesso o che hanno raggiunto una copertura vaccinale «significativa» a condividere i propri stock.

Tanzania e Ciad non hanno ancora nemmeno iniziato la campagna vaccinale. Il Madagascar ha avviato la campagna una settimana fa. In Etiopia, Repubblica Democratica del Congo e Mali i conflitti in corso rendono oltremodo complicata l’applicazione del piano vaccinale: la Rdc a fine aprile ha trasferito all’estero 1,3 milioni di dosi di AstraZeneca quando ci si è accorti che non sarebbe stato possibile somministrarle prima della scadenza del lotto.

Altri, come l’Egitto e l’Algeria, hanno avviato produzioni locali di vaccini anti-Covid: il russo Sputnik V e il cinese Sinopharm. Altri paesi, come l’Angola, hanno investito per migliorare la logistica e la catena del freddo nelle strutture di stoccaggio. Altri, come il Ghana, hanno pianificato ed effettuato la consegna dei vaccini anche con tecnologie come i droni, per raggiungere le zone più remote. Altri ancora, come il Ruanda e l’Uganda, hanno pianificato la campagna vaccinale partendo da sistemi sanitari già solidi.