Pericolo scampato, per merito di tutte le associazioni della stampa, Art. 21, Fnsi, Usigrai, PressingNoBavaglio, che hanno sollevato il caso per tempo. Ieri è stato eliminato dalla legge sulle intimidazioni ai danni degli amministratori locali il riferimento che comportava una secca aggravante, da un terzo a metà del massimo della pena, per il reato di diffamazione a mezzo stampa ove il reato sia commesso ai danni «ai danni di un componente di un Corpo politico, amministrativo o giudiziario».

In effetti era difficile immaginare una formulazione peggiore e più pericolosa. Da un lato, infatti, veniva sancita la particolare gravità di diffamazioni che toccasero «le loro eccellenze», dall’altro era sufficientemente vaga da poter essere impugnata, e dunque usata come strumento di ricatto, da qualsiasi funzionario pubblico.

La commissione ha votato ieri la soprressione dell’aggravante, ed è una buona notizia.

«Senza l’aggravante – commenta Vincenzo Vita – la legge, che è frutto di una commissione d’inchiesta specifica è accettabile. Il problema vero, casomai, è sapere che fine abbia fatto la legge che elimina il carcere per la diffamazione a mezzo stampa».

Già, che fine ha fatto? La Camera, in seconda lettura, ha già votato e abolito la possibilità di mandare in galera i giornalisti per diffamazione. Ora spetta al Senato la terza e ci si augura ultima lettura. Ma il testo giace in commissione a palazzo Madama, e non si sa quando arriverà a vedere la luce.

Inutile aggiungere che la minaccia del carcere, anche senza l’aggravante cancellata, gioca una parte importante nella strategia delle querele «temerarie», adoperate per tenere di fatto sotto ricatto i giornalisti.

Il voto di ieri è un passo avanti. Il varo della norma che abolisce il carcere, quando arriverà, lo sarà di più.