A partire dal prossimo 22 giugno tornerà per la terza lettura nell’aula della Camera dei deputati la proposta di legge sulla diffamazione a mezzo stampa, terminologia riduttiva perché il reato riguarda anche la radiotelevisione. Proprio il manifesto lanciò insieme ad Articolo 21 lo scorso dicembre un appello, volto a sottoporre alla presidente della Commissione giustizia di Montecitorio Donatella Ferranti e al relatore Walter Verini taluni emendamenti migliorativi del testo.

Si trattava della messa a punto dell’istituto della rettifica, ora a rischio di diventare un corpo estraneo rispetto alla testata; dell’assurdità di sanzioni pecuniarie assai esagerate a fronte di una professione impoverita e composta in maggioranza da giornalisti autonomi o precari senza le dovute tutele; della debolezza del contrasto alla perniciosa tendenza ad utilizzare le querele temerarie come forma di censura e di condizionamento.

Comunque, passi avanti sono stati fatti, proprio nelle ultime settimane, grazie all’accoglimento di alcuni emendamenti, richiesti tra l’altro dalla Federazione della stampa e dall’Ordine dei giornalisti.

Finalmente, ad esempio, è stata estrapolata la materia dei blog e dei siti, impropriamente omologati alle regole di movimento dell’editoria tradizionale. Su tale materia, anzi, sarebbe importante che il parlamento passasse dalla felice elaborazione della commissione insediata da Laura Boldrini e presieduta da Stefano Rodotà al varo di una normativa moderna. Sui diritti e sui doveri di Internet, vero e proprio bene comune da innalzare alla soglia della Costituzione. Ciò che serve non è qualche bavaglio in più, bensì un corpo legislativo volto ad assicurare il libero accesso alla rete e la neutralità di quest’ultima, la pratica del free software e la revisione della bardatura del copyright.

È stato depositato utilmente, poi, dal relatore Verini uno specifico emendamento teso a risolvere la drammatica vicenda delle querele – soprattutto per quanto attiene alle azioni di risarcimento economico – nei casi ormai numerosi delle aziende in stato fallimentare. L’Unità, ma non solo.

L’inserimento – dopo i dipendenti – dei giornalisti destinatari dell’azione giudiziaria (in assenza degli editori di riferimento) tra i creditori privilegiati è doveroso, per evitare situazioni abnormi e assolutamente inique.

Purtroppo, la crisi in corso rende necessario inserire tale argomento, onde evitare che l’istituto della diffamazione, nato per proteggere i cittadini semplici e senza potere, si tramuti definitivamente in un’arma devastante contro chi opera nell’informazione.

L’utilizzo massivo della diffamazione significa snaturare il senso di una figura giuridica che oggi spesso si accompagna alle altre centinaia di intimidazioni avvenute in questi anni.

Dati inquietanti si ritrovano sul sito di «Ossigeno informazione». Anzi, come è stato sottolineato da diversi avvocati specializzati sul tema, il legislatore potrebbe rivedere la vecchia legge sulla stampa del 1948 nel senso di prevedere la colpa (negligenza, disattenzione) oltre al dolo.

Per esempio, un giornalista che si occupa di criminalità organizzata e non riesce a leggere con cura l’insieme di un’ordinanza magari di 10.000 pagine non va messo sullo stesso piano di chi mente sapendo di mentire.

È vero, il carcere è tecnicamente cancellato , ma l’essere a piede libero non vuol dire essere veramente liberi. Se non si è in grado agire il diritto di cronaca. Non ci vuole poi molto: «basta un poco di zucchero…», per dirla con Mary Poppins.