È un tour de force quello in corso a Bruxelles tra Atene e i suoi creditori, per ottenere il desiderato accordo sulle riforme elleniche. I pareri sui progressi delle trattattive fino a ieri erano diversi e quindi, fino prova contraria, il braccio di ferro tra il governo greco e i partner euopei continua, bloccando lo svincolo della tranche di prestiti da 7,2 miliardi di euro, o almeno di una sua rata, necessaria ad Atene per restituire, il 12 maggio, 750 milioni di euro al Fmi.

Il governo greco viene rappresentato come dilaniato tra necessitá di soddisfare almeno parte le sue promesse elettorali e il dovere di rispettare gli obblighi con i creditori internazionali anche senza il pieno sostegno della maggioranza dei greci. Secondo gli ultimi sondaggi piú del 70% degli intervistati approva le mosse di Alexis Tsipras, ma si schiera contro un’eventuale rottura delle trattative. Tenendo conto che la squadra di negoziazione politica guidata dallo stesso Varoufakis tratta con i partner, senza escludere la rottura dei rapporti con loro, questo «dato popolare» sembra a prima vista contraddittorio. Ma non lo é affatto: i greci vogliono sentirsi padroni del proprio destino, vale a dire avere una governance che difenda i loro interessi nei confronti di chi – come i precedenti governi e alcuni partner europei- ha schiacciato la loro vita, ma sono categoricamente contrari alla fuoriuscita del loro Paese dall’eurozona. Insomma, sentono di far parte dell’Unione Europea. Il 54% dei greci è anche contraria all’idea di un referendum nel caso di fallimento delle trattative o di intesa sfavorevole ad Atene.

Va ricordato che nel caso che la Grecia varcasse le preannunciate «linee rosse», non si tornerebbe alla dracma, né ci sarebbero elezioni anticipate come paventato da molte parti. Per Tsipras, invece, l’alternativa mostrata ai ricatti delle «istituzioni» europee potrebbe essere un referendum, cioè una consultazione popolare sui risultati del negoziato, possibile anche per la Costituzione greca perché non è di una legge di bilancio che si tratta.

A prescindere da questo «fattore popolare» il governo greco, giorno per giorno, con difficoltà ma anche con fermezza non ricatta come, invece, ha scritto per l’ennesima volta venerdì scorso il quotidiano tedesco Bild. Atene cerca di trovare un equilibrio nel rapporto tra le richieste dei creditori internazionali e il suo piano anti-austerity; tra la necessità di retrocedere momentaneamente e il bisogno di affrontare la crisi umanitaria greca, riavviando l’economia e promuovendo la giustizia fiscale, per riconquistare l’occupazione, trasformare il sistema politico e rafforzare la democrazia. Quelli, invece, che premono su Tsipras per un compromesso a tutti i costi sono gli stessi che il giorno dopo avrebbero lo avrebbero accusato di «tradire» i suoi stessi ideali.

«Le lotte per la difesa dei nostri diritti, della nostra vita e la dignitá saranno vincenti» ha sottolineato il premier greco durante le manifestazioni del 1° maggio. Il governo é pronto, secondo il suo portavoce, a pagare i suoi debiti, ma «aspetta dai suoi creditori – domani si riunisce il consiglio della Bce – che consegni il denaro necessario al piú presto possibile».

Durante la settimana scorsa fonti da Megaro Maximou, sede del governo, lasciavano intendere che l’accordo sarebbe a portata di mano nei prossimi giorni. Ottimisti pure Alexis Tsipras e il vicepremier Yannis Dragasakis. Il presidente dell’Eurogruppo, invece, parlando al parlamento olandese, ha affermato che «è molto presto ancora per dire che c’è un’intesa». Stesso parere del presidente della Commissione europea, Jean Claude Juncker, che ha sottolineato: «C’è ancora molta strada da fare».

Forse per questo, dopo una riunione della squadra di negoziazione domenica pomeriggio, il governo greco ha deciso di cambiare tattica. A sentire il portavoce, Atene mira fin da ora «ad un accordo finale con i suoi creditori» (e non ad un accordo-ponte, ndr), ma né a Bruxelles, né a Berlino sanno qualcosa in proposito. Su una cosa entrambe le parti concordano: non c’è piú spazio di manovra e il clima dei colloqui deve comunque migliorare.

E infatti é migliorato. I «falchi» europei, soprattutto quei partners irritati al vertice di Riga contro Varoufakis, sembrano soddisfatti del mini-rimpasto della squadra di negoziazione, il cui coordinamento é stato affidato al viceministro Tsakalotos, nonostante che alla guida resti sempre il ministro delle finanze. Senza escludere che l’attacco personale a Varoufakis era costruito per far vedere che Atene é isolata, – del resto è lo stesso obiettivo di chi, da oltre due mesi, vede la Grecia a un passo da un default o sull’ orlo della catastrofe -, Alexis Tsipras ha voluto «calmare» l’insofferenza dei falchi e facilitare il dialogo, cambiando formalmente gli incarichi senza modificare la sua strategia.

Soddisfazione anche dalle «istituzioni» – il Brussels Group si riunisce oggi – per il contenuto delle proposte greche, che sono migliorate. Il nuovo gruppo dei tecnici greci del Brussels Group dove responsabile é il presidente del Consiglio economico, Jrogos Houliarakis ha preparato un decreto che è giá stato presentato ai negoziatori, mentre il segretario generale per la politica di bilancio, Nikos Teodorakis, é stato incaricato di sviluppare un piano di sviluppo per l’ economia greca basato sul nuovo accordo.

Intanto, quasi in risposta al presidente tedesco Joachim Gauck che, in visita ufficiale ad Atene, si è schierato a favore della richiesta greca dei risarcimenti di guerra per l’occupazione nazista, il nuovo parlamento greco, dopo la proposta avanzata dalla sua presidente Zoe Konstantopoulou a metá marzo, ha approvato all’unanimitá la ricostituzione della commissione parlamentare per la rivendicazione dei danni di guerra, dei debiti e dei reperti archeologici dell’antica Grecia trasferiti in Germania durante la seconda guerra mondiale.