Finita sul banco degli imputati con l’accusa di non aver restituito parte dello stipendio come fanno i suoi colleghi, la senatrice Serenella Fucksia contrattacca accusando a sua volta i vertici del M5S, e Beppe Grillo in particolare, di aver ormai «perso il controllo». «Il voto contro di me è assurdo», spiega la senatrice pentastellata, espulsa ieri dal M5S dopo il solito voto on-line degli attivisti (24.667 dei quali, su un totale di 26.630, favorevoli alla sua espulsione). Molti dei quali, però, criticano il blog per aver allestito una votazione senza che ce ne fosse realmente bisogno, visto che la Fucksia aveva ancora tempo per mettersi in regola e versare il dovuto, cosa che in effetti avviene nel tardo pomeriggio. «Chi ha messo in piedi la farsa di questa votazione dovrebbe essere chiamato a rispondere del ridicolo in cui ha messo tutto il movimento», scrive ad esempio un attivista.
Richiesta destinata a restare senza risposta. Come succede sempre nelle vicende interne al movimento di Grillo e Casaleggio dove, quando i due capi decidono, raramente vengono contraddetti. La notizia semmai è che dopo un anno di inattività, il tribunale on-line si è rimesso in moto. Gli ultimi a essere stati messi alla porta furono i cinque senatori dissidenti Bencini, Bignami, Casaletto, Mussini e Romani. Era il 6 marzo del 2014 e anche se a gennaio di quest’anno a lasciare per passare al gruppo misto furono i senatori Ivana Simeoni e Giuseppe Vacciano (seguiti venti giorni dopo dal collega Francesco Molinari), ci si era illusi che l’epoca delle gogne mediatiche, delle votazioni che non si capisce mai davvero chi le controlla e delle conseguenti espulsioni appartenessero ormai al passato. E invece no. Puntale come Capodanno, Beppe rispolvera la vecchia pratica, destinata come in passato ad alimentare il sospetto che dietro la scusa di turno ci si voglia in realtà liberare dell’ennesimo parlamentare con il vizio di criticare le decisioni prese dall’alto. E infatti alla Fucksia più che la mancata restituzione delle eccedenze relative agli stipendi di «aprile, maggio, giugno, luglio, agosto, settembre 2015, così come richiesto dallo staff e nonostante i diversi solleciti inoltrati con scadenze in data 8, 21 e 26 dicembre», come recita il capo d’accusa grillino, si rimprovera ben altro. In particolare di aver difeso il ministro per le riforme Maria Elena Boschi quando il M5S ha presentato una mozione di sfiducia contro di lei. Ma più in generale di non aver votato in linea con il gruppo per ben 253 volte. «Era a favore del jobs act, della cancellazione dell’art.18, della buona scuola e della Boschi», scrive su Facebook il senatore Michele Gianrusso. Ma anche contro l’autorizzazione a procedere per istigazione al razzismo del leghista Roberto Calderoli per gli insulti rivolti alla Pd Cecile Kyenge o l’arresto dell’Ncd Giovanni Bilardi, coinvolto nell’inchiesta sulle spese pazze in Calabria.
Tutto giusto, verrebbe da dire. Ma allora perché non spiegare chiaramente le motivazioni invece di trovare la scusa della mancata restituzione di parte dello stipendio da senatrice? «Sicuramente avrà pesato anche quello (la difesa del ministro Boschi, ndr), averle riconosciuto il merito di aver dato uno smacco a un’opposizione farlocca. E ora fa senz’altro gioco al Movimento usare questo tipo di punizione contro di me», commenta Fucksia che ha deciso di non fare ricorso contro l’espulsione: «Sarebbe una farsa», dice. «Con calma chiamerò Grillo perché ci sono troppe cose che ormai gli sfuggono, che non governa».