Dopo l’arresto per narcotraffico a Los Angeles e il trasferimento a New York il generale dell’esercito messicano ed ex ministro della Difesa Salvador Cienfuegos Zepeda è pronto a tornare in Messico, da uomo libero. Sarà deferito all’ufficio del procuratore generale in attesa di veder aprire un fascicolo d’inchiesta nel suo paese. Una sterzata a 360 gradi, tutta politica, dopo il fermo eccellente, preparato dalla Dea in Messico dopo un incontro, a fine settembre, con il presidente messicano Lopez Obrador, detto Amlo. Una sterzata tutta politica, difficilmente spiegabile con un ritrovato rispetto del diritto internazionale da parte degli Usa o di una vittoria diplomatica del Messico.

LE AUTORITÀ GIUDIZIARIE statunitensi hanno fatto cadere le «accuse penali» contro l’ex ministro affinché sia processato in Messico. In un comunicato a firma dei procuratori generali dei due paesi William P. Barr e Alejandro Gertz Manero, si legge che «in virtù della forte partnership nell’applicazione della legge tra Messico e Stati uniti e nell’interesse di dimostrare il nostro fronte unito contro tutte le forme di criminalità, il Dipartimento di giustizia degli Stati uniti ha deciso di chiedere l’archiviazione delle accuse contro Cienfuegos, in modo che possa essere indagato e nel caso incriminato secondo la legge messicana».

Il ministro degli Esteri messicano Ebrard conferma le parole della procura di Brooklyn e ribadisce che si tratterebbe di un accordo internazionale, anzi rinforza la tesi secondo cui a chiedere il ritorno di Cienfuegos siano state proprio la giustizia e la diplomazia messicane. Il giudice incaricato del caso negli Usa, Carol Amon, prima del via libera ha chiesto le ragioni per la revoca delle accuse contro il generale – soprannominato il Padrino – che per le indagini sarebbe affiliato al gruppo criminale H-2.

 

Il generale e di fatto capo delle Forze armate del Messico, Salvador Cienfuegos Zepeda

 

La decisione di rilasciare Cienfuegos dopo che un’indagine top-secret avrebbe rivelato la sua promiscuità con il mondo criminale messicano è una svolta per molti inaspettata in uno dei casi di narcotraffico di più alto profilo degli ultimi decenni, che però mira a correggere una forzatura del diritto internazionale: l’arresto negli Usa di Cienfuegos, per ciò che si sa, è riferito a fatti accaduti in Messico. Spesso gli Stati uniti, con la scusante di essere la destinazione finale della droga, hanno ottenuto estradizioni e la possibilità di processare i criminali nei loro tribunali. Qui si sono spinti oltre, arrestando Cienfuegos senza informare il paese dove il generale avrebbe commesso i crimini. I funzionari del Dipartimento di giustizia Usa hanno descritto l’arresto di Cienfuegos come una finestra aperta sulla drammatica corruzione istituzionale in Messico.

La politica messicana saluta come un trionfo l’operazione anche perché Lopez Obrador ha considerato, sin dall’inizio, l’arresto di Cienfuegos una violazione della sovranità nazionale, nonostante le prove dell’incontro a inizio settembre tra il presidente e il capo della Dea a Città Del Messico. Per Amlo l’arresto era dovuto a «motivi politici o di altro tipo» e per questo accusò la Drug Enforcement Administration di «ingerenza».

IL PRESIDENTE STA RAFFORZANDO le relazioni con l’esercito sfiduciando la polizia federale, tanto che ora le forze armate sono responsabili del controllo dei confini, delle dogane e degli aeroporti. L’arresto di Cienfuegos, e quello di qualche giorno fa del “Comandante Crespo” hanno turbato gli equilibri interni alle istituzioni nel paese di Zapata e Villa e messo pressione su Lopez Obrador. Ricordiamo che in Messico mai l’esercito, nemmeno dopo i diversi massacri degli anni ’70, è stato indagato realmente. Dal giorno dell’arresto di Cienguegos il presidente Amlo, pressato dall’esercito, ha cercato di “riaverlo indietro”, ma l’amministrazione Trump non ha mai voluto fare retromarcia, forse cercando di usare l’arresto a fini elettorali. Ora, dopo la sconfitta di Trump la partita si è riaperta. Forse proprio la trattativa per Cienfuegos è alla base della scelta del Messico, e del suo presidente, di non riconoscere ancora Biden come presidente.

È davvero difficile pensare che la perseveranza del governo messicano per riavere Cienfuegos si possa spiegare solo con la pretesa del rispetto del diritto internazionale. Anche perché i rapporti tra Amlo e Trump sono stati burrascosi solo dal punto di vista della narrazione pubblica, i due si sono trovati a lavorare spesso in continuità e in sinergia, tanto che molti analisti pensano che Lopez Obrador sia tra i pochi presidenti che non festeggia la sconfitta del tycoon.

Che qualcosa non torna lo pensa anche il generale Gallardo – storico difensore dei diritti umani, incarcerato dal 1993 al 2002 – intervistato da Carmen Aristegui: «Per me è un insabbiamento che porta con sé altre cose nascoste che la società messicana non conosce, ad esempio gli accordi presi con la firma dell’Iniziativa Merida e altre situazioni che hanno a che fare con il finanziamento di campagne elettorali e altri finanziamenti che alla fine portano al crimine organizzato».

Il Chapo è stato consegnato agli Usa senza colpo ferire regalando una scena epica al mondo della fiction ma che, una volta di più tradisce, come i presunti grandi capi dei gruppi criminali del Messico (e del mondo) siano persone alla fin fine sacrificabili all’audience televisivo, tanto da giustificare dirette e primi piani, solitamente risparmiati ai “potenti”. L’arresto di Garcia Luna, negli States, è stato pressoché ignorato, nonostante si trattasse dell’inventore dalla cosiddetta «guerra alla droga».

CIENFUEGOS È UN’ALTRA STORIA. Le pressioni dell’esercito sono certamente una parte della verità sui fatti delle ultime ore. Un’altra parte, che forse non si può dire fino in fondo, è che è proprio la figura di Cienfuegos a raccontare i gangli delle promiscuità tra istituzioni, economia e malavita in Messico. Indagare significa scoperchiare il castello narrativo semplicistico che racconta di gruppi criminali come fortissimi e capaci di infiltrarsi nelle istituzioni fino a governarle; indagare Cienfuegos e l’esercito potrebbe mostrare l’immagine del Messico al contrario, non di stato fallito e narcocratico, che usa i gruppi criminali. Ma può anche voler dire che arrestare un personaggio del genere e poi accorgersi di non avere le prove per condannarlo significa ridicolizzare ancora di più l’operato della Dea dopo l’operazione kamikaze, e nuovamente eccellente per le serie tv, del tentato arresto del figlio del Chapo.

Chi ha diretto le indagini che hanno portato all’arresto del capo di fatto dell’Esercito messicano, sosterrebbe che Cienfuegos è coinvolto con il cartello H-2, propaggine dell’organizzazione criminale Beltrán Leyva operante principalmente nello stato nord-orientale di Nayarit. È stato accusato di usare i militari per inseguire ed eliminare esponenti di bande rivali e come protezione per le sue spedizioni di migliaia di chili di eroina, cocaina e metanfetamine negli Stati uniti. Accuse che Lopez Obrador ha cercato di smorzare chiedendo le prove, giocando la carta del diritto internazionale. Il presidente ha commentato dicendo che avrebbe fatto lo stesso per ogni messicano arrestato negli Usa (ma la vicenda Garcia Luna dice il contrario) e che in più «qui è in gioco il prestigio di un’istituzione come le Forze armate».

LA VERITÀ SEMBRA LONTANA. Certo la vicenda è complessa, spazia tra una molteplicità di questioni, alcune da ricercare nella politica interna dei due paesi, alcune nella storia interventista Usa, altre nella promiscuità del potere che sa giocare a cavallo tra le frontiere muovendosi senza bisogno di passaporto. Sarà un serio banco di prova per Amlo: senza una seria indagine su Cienfuegos passerà la logica dell’impunità, si darà ulteriore potere all’esercito e il governo Lopez Obrador ne uscirà screditato. Il prossimo futuro ci dirà se si vuole davvero affrontare il nodo della violenza e della corruzione o, come nelle serie tv e nei libri sul narco-messico, tutto si fermerà alla retorica delle mele marce.