Centottantaquattro giorni dopo il 1 maggio, l’Expo 2015 di Milano chiude i battenti. Diretta televisiva e presidente della Repubblica in loco per l’occasione. Il dibattito degli ultimi mesi è stato monopolizzato dal tema del “successo”. Il successo secondo televisioni, radio, giornali e dichiarazioni politiche è riassunto nel numero di ingressi e biglietti venduti e delle conseguenti code tra i padiglioni nell’ultimo mese e mezzo.

Dietro al “successo” tanto narrato dai media mainstream che si sono portati a casa, a titolo differente, oltre 50 milioni di euro di pubblicità si nasconde qualcosa di diverso e più profondo. Il delegato unico Giuseppe Sala è osannato non solo dalla componente di centro destra, che gli ha attribuito il ruolo anni fa, ma anche e soprattutto da Renzi e dal suo PD che lo vorrebbe candidare a sindaco di Milano, cancellando le primarie e dando così il colpo di grazia al già moribondo progetto del partito democratico e trasformandolo definitivamente nel “partito della nazione”. Forse l’occasione per un nuovo grande centro, un bel “partito dell’Expo” che racchiuda in se Pd, Ncd e FI.

Oggi si legge chiaramente sulla stampa che Expo non è stato solo un evento ma un modello. Un modello vincente quindi esportabile e replicabile.

Così il prossimo giubileo di Dicembre a Roma mutuerà Expo 2015. Con il prefetto pluripotenziato e la negazione del dissenso in città come si può vedere con l’ Atac come primi esempi.

Lo stato d’emergenza con gestione commissariale è il centro di un modello fatto per amministrare tutti i futuri eventi nella penisola. Con il definitivo superamento della rappresentanza politica espressa attraverso il voto e deriva securitaria per garantire il decoro urbano e la pacificazione sociale per l’importanza dell’evento.

La rete attitudine No Expo già molti anni fa disse che l’evento era qualcosa di più, ovvero un modello e un’occasione per modellare e trasformare leggi, idee e rapporti sociali.

Critiche e motivazioni della rete, lunghe oltre sette anni, sono state coperte da “alcuni momenti del corteo del primo maggio, che ne hanno sovradeterminato l’impostazione collettiva” (dal comunicato della rete no expo dopo il 1 maggio), togliendo di fatto legittimità di parola e d’azione nel dibattito di questi mesi.

Oltre alle evidenze, il capolavoro di Expo è stata la narrazione che ha creato e le conseguenti giustificazioni che ha fornito.

In origine ha fatto credere che l’evento avesse a che fare con l’agricoltura, la fame, l’ingiustizia e la sovranità alimentare per poi scoprire che le grandi multinazionali dell’agroindustria erano soggetti presenti all’evento e legittimati a trattare il tema. Finendo poi con il non parlare di cosa sarebbe dovuto significare “Nutrire il pianeta, energia per la vita”.

Tanto che anche le realtà del terzo settore o Slow Food, che hanno deciso di stare dentro ad Expo, si sono lamentate pubblicamente dell’assenza del dibattito e di alcune presenze. Anche questo era stato denunciato in anticipo negli anni.

Poi è arrivato il momento di promettere posti di lavoro dentro e fuori i padiglioni. Duecentomila se ne sarebbero dovuti generare nell’area metropolitana, ma l’evento ha cannibalizzato la città. Decine di migliaia di persone sono entrati ad Expo dopo le 18.00 per fare aperitivi e cene, svuotando di fatto la città e di fatto deludendo le promesse fatte.

Il lavoro volontario è stata la componente maggioritaria, seguita da contratti precari e stagionali come l’evento stesso.

Dopo il primo maggio 2015 abbiamo anche visto sdoganare, con un quasi silenzio assordante, la deriva securitaria anche in materia lavorativa. Per poter lavorare all’interno di Expo si è dovuto passare un controllo di polizia. Centinaia di persone si sono viste rifiutate il pass per motivi di sicurezza non ben specificati e non hanno potuto così lavorare. Nemmeno il tardivo intervento della Cgil ha fatto cambiare veramente rotta.

Per non parlare del fallimento delle autostrade finite per poter sorreggere l’incremento del traffico stradale. BreBeMi, Pedemontana e TEEM non sono nemmeno vicine ai dati di traffico con il quale si sono giustificate. Il project financing con cui si sarebbero dovute costruire è fallito e il pubblico, a diverso titolo, è dovuto intervenire.

Fino a dicembre non si avranno i conti dell’evento, che ricordiamo nasce con un intervento iniziale del pubblico a fondo perduto di oltre 1 miliardo di euro. E il debito totale, tra spese dirette ed indirette, rischia di essere molto più alto.

I dubbi sul futuro dell’area, che sembra saranno svelati attorno al 10 novembre direttamente dal premier Renzi non sembrano nemmeno essere un problema.

A conti fatti, Expo è stato il trionfo del capitalismo moderno e il successo personale di Renzi e del renzismo.

I numeri non sono che la foglia di fico, anche questa viziata e corrotta da un dibattito che sembra dimenticare che le aspettative parlavano di 24 milioni di biglietti venduti, non 20, con il quale si prova a coprire il grande affare che in maniera irreversibile, come le colate di cemento, è il vero successo dell’evento e di una parte di società.