Alcune settimane fa è circolata sulla stampa locale la notizia che più di un quinto della popolazione giapponese è formata da ultrasettantenni. L’ennesimo segnale e tappa di quel percorso e mutamento sociale che più di ogni altro sta alterando gli equilibri sociali economici e politici del Sol Levante. La terza età sta diventando quindi, in Giappone più che in altri paesi del mondo, un soggetto ed una «categoria» che sempre maggiormente viene analizzata o studiata e che si trova al centro di molte opere letterarie e cinematografiche.
È anche in quest’ottica ed in questo contesto sociale che va visto il successo, limitatamente al cinema indipendente naturalmente, della trilogia Everyday is Alzheimer’s, tre lavori con cui la regista Yuka Sekiguchi dal 2010 ha raccontato la vita quotidiana trascorsa assieme alla madre, con cui ha cominciato a vivere quando ha scoperto di essere affetta da demenza senile. Girati in assoluto low-fi usando una videocamera digitale portatile, questi tre documentari, che esteticamente sono poco più di un video amatoriale, hanno però il pregio di toccare dei temi molto sentiti nel Giappone contemporaneo, quali la vecchiaia ed il morbo di Alzheimer, e la vecchiaia ed il rapporto con la morte.

Il primo lavoro, uscito nel 2012, documenta il ritorno in patria della regista dopo il naufragio del suo matrimonio con un uomo australiano e la sua decisione di prendersi cura della madre. La routine quotidiana di chi viene sopraffatto quasi senza rendersene conto dalla malattia e dal deteriorarsi della memoria viene raccontata, seppur in tutta la sua drammaticità, con un piglio spesso comico e divertente. Il film come detto riscosse un successo inaspettato nel circuito indipendente, tanto che due anni dopo arrivò il seguito Everyday is Alzheimer’s 2 The Filmmaker goes to Britain. Nei due anni passati le condizioni della madre peggiorarono e spinsero la figlia ad approfondire la questione andando anche a vedere come la malattia e tutto ciò che ne deriva, viene trattata in altri paesi, nello specifico recandosi in una casa di cura in Gran Bretagna. L’ultimo capitolo della trilogia, Everyday is Alzheimer’s – The Final: Death Becomes Us uscito pochi mesi fa ma ancora in alcuni teatri dell’arcipelago, fa un ulteriore salto tematico. Inizia con le immagini abbastanza crude di un’operazione alla gamba per la regista in una sala operatoria, evento che la porta ad interrogarsi su come, alla soglia dei sessant’anni, con il deteriorarsi della sua salute e l’inevitabile avanzamento dell’età, possa prendersi cura della madre che di anni ne ha 86.

La routine giornaliera con la madre cede il posto, man mano che il film procede, ai viaggi della regista in Australia, dove incontra una vecchia amica a cui sono stati diagnosticati solo 18 mesi di vita, in Svizzera, dove fa visita ad un centro che offre la possibilità di una morte assistita ed in un centro per anziani alternativo in Giappone. In poco più di sessanta minuti di durata il documentario diventa quindi un’interessante e mai banale indagine su come varie persone ma anche le strutture sociali in diverse parti del mondo si pongono davanti alla morte ed alla vecchiaia. Una vecchiaia che quando si protrae negli anni, spesso è già un lento processo di morte e dove la grande paura non è tanto quella di lasciare questa terra, ma il dolore fisico e la perdita di memoria che spesso caratterizza gli ultimi anni di vita.

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