Certo, l’incontro che oggi Barack Obama avrà con papa Francesco segnerà l’appuntamento clou della giornata, l’evento atteso dai giornali americani e di tutto il mondo, ma quella del presidente americano è una visita che ha ben poco di spirituale. A Roma, come a tutti gli alleati europei, Obama chiede infatti rassicurazioni sull’entità e l’efficienza delle forze armate dei paesi che aderiscono alla Nato e che adesso, a prescindere dalla crisi ucraina, vede messa in pericolo soprattutto dai tagli che molti alleati stanno apportando ai bilanci della Difesa. Italia compresa, anzi Italia prima di tutti, visto che il governo Renzi ha annunciato come possibile un nuovo taglio all’acquisto degli F35, il cacciabombardiere che gli Usa stanno cercando di piazzare in mezzo mondo con sempre maggiori difficoltà. E questo, dopo un primo taglio all’acquisto dei caccia fatto dal governo Monti, rappresenterebbe un ulteriore duro colpo per l’industria bellica americana. Anche perché Obama arriva a Roma mentre proprio a casa sua un rapporto stilato dagli ispettori del Us government accountability office, l’organismo americano che vigila sulla spesa pubblica (anticipato nei giorni scorsi dall’Espresso) mette in dubbio proprio la convenienza anche per le forze armate americane dell’acquisto del super caccia.

E forse è proprio con questi pensieri in testa, più che alla crisi che si vive a Kiev e Simferopoli, che ieri a Bruxelles Obama ha preferito mettere le mani avanti avvertendo gli alleati. «Siamo preoccupati per i tagli al bilancio della difesa da parte di alcuni Paesi Nato», ha detto il presidente Usa. «E’ comprensibile quando c’è una crisi – ha poi aggiunto -, ma la situazione in Ucraina ci ricorda che la libertà non è gratis, dobbiamo pagare per l’addestramento del personale».

Parole che suonano stranamente se si considera che solo due giorni fa Obama ha ammesso di temere più un attacco terroristico a Manhattan dei muscoli mostrati in questi giorni da Putin, ma che assumono un significato particolare se si pensa a quei Paesi che hanno deciso di fare marcia indietro e non acquistare più gli F35. E non solo per motivi economici, ma anche per i problemi che il supercaccia americano sembra portare con sé.

E che non passa giorno senza che vengano messi in evidenza. Come fanno gli ispettori americani di quella che si può considerare la Corte dei conti Usa che hanno individuato nel software che governa il super caccia l’ultimo punto debole, tanto che renderebbe difficile quella che è la principale funzione di un aereo da guerra, ovvero la sua capacità di combattimento. «I problemi che continuano a manifestarsi nel software hanno rallentato i progressi nelle prove in volo dei sistemi di missione, una situazione critica per sviluppare le capacità di combattimento dell’aereo. Questi continui ritardi mettono a rischio la tempistica e i costi del programma». Preoccupazioni che riguarderebbero in modo particolare una delle tre versioni previste dall’aereo, quella a decollo verticale F35 B di cui l’Italia ha ordinato 30 esemplari per l’impiego sulle portaerei e sulla basi avanzate. Inequivocabili le conclusioni raggiunte dagli ispettori: «Se i test sul software continueranno a subire ritardi – scrivono – se i fondi disponibili non basteranno per raggiungere i risultati o se non si riuscirà a ridurre il costo di ogni aereo ai prezzi stabiliti. il Dipartimento della difesa dovrà decidere se andare avanti producendo aerei con minori capacità operative oppure rivedere il numero degli F35 da costruire anno per anno».

Spinta dalla crisi più che da altro, l’Italia si preparerebbe finalmente ad apportare un ulteriore ridimensionamento al suo ordine di F35, fissato inizialmente in 131 esemplari (ognuno dei quali costa circa 100 milioni di euro) e diventati 90 dopo il taglio deciso dal governo Monti. Un problema di cui, c’è da giurarci, Obama non mancherà di discutere sempre oggi nel corso del suo incontro con il premier Matteo Renzi.