Se un giorno la vita da sindaco di Diego Novelli diventasse un film, buon titolo potrebbe essere Anni di piombo, lo stesso del film di Margarethe Von Trotta uscito nel 1981. Novelli, infatti, governò dal 1975 al 1985 una Torino sconvolta dal terrorismo. Prima da consigliere comunale e poi da sindaco, visse anche la Torino che di secondo nome faceva FIAT, città operaia della grande migrazione dal Sud, dei trentacinque giorni di picchetti a Mirafiori e della Marcia dei quarantamila, della crisi che erodeva lentamente lavoro e futuro.
La vita di Diego Novelli, decennio con la fascia tricolore compreso, è appena diventata un libro a firma di Fabrizio Dividi e Carlo Griseri per Daniela Piazza Editore. Ma Diego Novelli e il cinema non è certo il titolo che ti saresti aspettato. Racconta, il libro, di una passione nata davanti allo schermo dell’oratorio e coltivata fino a trasformarsi, sono parole di Novelli, ‘In uno strumento di lavoro educativo. Mai, sia ben chiaro, in uno strumento di propaganda’.
Una passione che il bel saggio di Dividi e Griseri ha scelto di indagare lasciando alla voce narrante il compito di consegnarla al lettore attraverso l’intreccio dei ricordi e degli avvenimenti. Quella voce l’abbiamo riascoltata in un pomeriggio d’estate a casa di Novelli, nel suo quartiere di sempre, Borgo San Paolo, periferia quando era bambino, oggi appena lontano dal centro.
L’amore per il cinema sboccia in via Luserna 16
Era l’indirizzo dell’oratorio dei salesiani, a pochi passi da casa. La domenica pomeriggio proiettavano film muti con la colonna sonora di un grammofono sommersa dalle urla dei ragazzini. Fu lì che il cinema cominciò a incantarmi.
La mia adolescenza coincise con il dopoguerra e l’arrivo in Italia delle pellicole americane. Diventai un vero e proprio ‘fissato’, di ogni titolo conoscevo a memoria regista, attori, sceneggiatori. Sopra ogni altro genere amavo i western, pur non trascurando, ad esempio, i film del neorealismo. Li ho visti tutti, e in seguito alcuni dei suoi autori sarebbero stati ospiti del cineclub dell’Eliseo.

Il giovane Novelli trova impiego in una libreria del centro, dove, accanto all’amore per il cinema, nasce quello per la scrittura. Passato alla libreria de L’Unità, entra poi nella redazione torinese del quotidiano, approdando alle pagine politiche sotto la guida di Luigi Pintor, Gianni Rocca, Paolo Spriano.
I suoi articoli dalla Sala Rossa del Comune gli varranno nel 1960 la proposta di candidarsi al Consiglio comunale. Diego accetta, ma il cinema, certo, non lo mette da parte. Anzi.

Un capitolo del libro si intitola ‘Eliseo, cinema del cuore’
Il quartiere aveva il suo fulcro in piazza Sabotino, su cui affaccia tutt’ora il cinema Eliseo, prima Drovetto. Ci vidi Com’era verde la mia valle, La signora Miniver, I fratelli Sullivan…
Ma soprattutto fu il luogo dove, a partire dai primi anni ’50, avviammo con amici quali Paolo Gobetti, Fernaldo Di Gianmatteo, Enrico Castelnuovo, il progetto del Cinema della Domenica, per portare il cinema in periferia. Giordano Bruno Ventavoli, distributore con molte sale a Torino, ci dava gratuitamente i film, che noi proiettavamo divisi in cicli. Ciascuno era preceduto da un’introduzione a cura di un esperto e seguito da un dibattito. Il Cinema delle Domenica nasceva da una convinzione comune e profonda: Torino non poteva essere soltanto la città delle fabbriche, del cemento e delle putrelle.
Nel 1966 la sala Carlo Alberto viene ribattezzata Centrale d’Essai. Nel 1968, i titoli della sua programmazione, altrove impossibili da vedere, diventano punto di riferimento dei sessantottini che amano il cinema. Analogo discorso varrà nel 1974 per il Movie Club fondato da Baldo Vallero insieme, tra gli altri, a Roberto Turigliatto e Marco Vallora.
Operazioni lodevolissime, ma cinema di élite. Ci andavo anch’io al Centrale e al Movie, però il discorso era ben diverso da quello del Cinema della Domenica, che da piazza Sabotino si era esteso alle periferie della Falchera, di via Artom, di Mirafiori Sud.
Proiettavamo film d’avventura, commedie americane, western… Ladri di biciclette e Roma città aperta fecero parte di un ciclo dedicato alle parole della costituzione. Lo ripeto: cinema come strumento di lavoro educativo.
Diego Novelli ed Ettore Scola si incontrano complice un film, «Trevico – Torino». Viaggio nel Fiat Nam. È il 1973
Scola, che era nato a Trevico (in provincia di Avellino, ndr), decide di fare un film sull’emigrazione a Torino e si rivolge ad Aldo Tortorella, responsabile del PCI per la cultura, cercando un appoggio in loco. Tortorella gli suggerisce il mio nome, lui mi telefona, stabiliamo di risentirci.
Una domenica arriva la sua chiamata, sarà a Torino verso mezzanotte. Ci incontriamo, mi spiega cosa vuol fare, gli dico ‘Andiamo subito sul campo’, e lo porto alla stazione di Porta Nuova. L’atrio faceva da dormitorio per chi lavorava alla Fiat ma non aveva un posto dove passare la notte.
Ettore rimane sbalordito, disorientato, e mi propone di scrivere con lui la traccia del film. Che non avrà una sceneggiatura, e si avvarrà di solo un solo attore vero, Paolo Turco nei panni di Fortunato, il ragazzo protagonista.
Nel 1982, Scola realizza «Vorrei che volo», storia di nuovi emarginati nella Torino di un Meridione operaio ormai integrato. Analoga la tematica di «La ragazza di Via Millelire», 1980, dello scrittore e regista Gianni Serra. Il primo film vede Diego Novelli nelle vesti di sindaco, il secondo si avvale del patrocinio del Comune. Entrambi vengono definiti non solo da una parte della critica, denigratori; «La ragazza di Via Millelire» addirittura nocivo. Torino si schiera in prima fila.
Mi accusarono di aver concorso allo sputtanamento della città, persino di aver preso dei soldi, forti del fatto che nei titoli di testa del suo film, Serra ringraziava me e l’amministrazione comunale. Al coro si unirono quasi tutti i cosiddetti maestri della critica, i nomi non li faccio.
C’è un suo libro, «Vite sospese», che con Scola avreste voluto trasformare in film
Il 30 marzo 1984 ricevetti dal Carcere Speciale di Cuneo una lettera a firma di due terroristi dissociati di Prima Linea, Felice Maresca e Daniele Gatto. Chiedevano la possibilità di riaprire un dialogo con il mondo esterno. Decisi di rispondere e di incontrarli. Da loro venni a sapere che i dissociati sparsi in varie carceri italiane erano una settantina. Riunirli avrebbe contribuito ad ampliare la portata e il significato di una reciproca apertura.
Le carceri dismesse delle Nuove, a Torino, potevano essere il posto giusto. L’allora ministro della Giustizia Mino Martinazzoli e il direttore generale degli Istituti di pena mi diedero il benestare. Avevo però bisogno di essere affiancato da qualcuno che avesse competenze e conoscenze ben più ampie delle mie. Lo individuai nello storico Nicola Tranfaglia, che per di più era un amico.
Per due anni, ogni venerdì, tenemmo alle Nuove un seminario di ricerca, cui parteciparono regolarmente una ventina di ex terroristi. Settemila cartelle diventate un libro, poi la sceneggiatura di un film per Ettore, Una vita sospesa, pubblicata nel 1991 da Sellerio e rimasta sulla carta.
Novelli, se la Torino di oggi fosse un film, che film sarebbe?
Quello di una città che continua a brontolare negli spazi di «Specchio dei tempi», la rubrica de La Stampa voluta da Giulio De Benedetti per consentire ai cittadini di sfogare i loro piccoli malumori. Torino ha cominciato a lamentarsi dalla perdita del ruolo di capitale in poi. E non ha mai smesso.