Plasticamente parlando, non avrebbe potuto riuscire meglio. Da un lato, vicino alla stazione Centrale, la sede regionale illuminata dall’altra sera a formare la scritta Family day per volere del governatore lombardo Roberto Maroni. Non molto lontano, davanti al palazzo del Comune, il sindaco Giuliano Pisapia che parla di «Milano capitale dei diritti» e di un «inaccettabile ritardo del Paese» ad una piazza arcobaleno di oltre 10mila persone che chiede civiltà e parità per tutti con lo slogan SvegliatiItalia.
Milano non è la Lombardia, decisamente. Il Pirellone illuminato (solo nei piani alti, in corrispondenza degli uffici del centrodestra) per ricordare l’appuntamento romano del 30, dove peraltro la Regione intende essere presente con il gonfalone con un’altra evidente forzatura istituzionale, non è piaciuto a nessuno. La rete l’ha sotterrato di insulti e parodie (girano ovunque foto di Pirelloni con scritte tipo Family gay, Cazzari, Sono pronte le lasagne, scendi e così via, per non dire del tweet bombing con l’hastag #NonInMionome), la pagina Facebook della Regione straborda di commenti ironici o indignati, le opposizioni consiliari hanno già sollevato la questione e la vicepresidente Pd Sara Valmaggi ha inviato una lettera di diffida, visto che dell’iniziativa non si è mai discusso né in Consiglio né in ufficio di presidenza. Una polemica che è arrivata anche a Roma: «Maroni pensa che il Pirellone sia roba sua, ma si sbaglia di grosso: è di tutti i lombardi e non si può usare a fini di parte», dice il vicesegretario Pd Lorenzo Guerini.
Per Pisapia, unico politico ammesso a parlare dal palco della manifestazione organizzata in piazza Scala dalle associazioni del Coordinamento Arcobaleno, è un’ovazione quando ricorda: «Il Paese è con noi, non è dove si accendono le luci per spegnere i diritti». Per poi chiudere con una citazione di Neruda: «La speranza ha due bellissimi figli, lo sdegno e il coraggio. Lo sdegno per la realtà delle cose, il coraggio per cambiarle».
Poco dopo, in piazza è il momento del flashmob coordinato nei tempi e nei modi con le altre quasi cento piazze d’Italia: sveglie giganti, minuscole, vere, giocattolo, di ogni colore, migliaia di sveglie che suonano insieme perché «il tempo è scaduto» ed è scattata «l’ora dei diritti». Ad agitarle è tutto il mondo lgbt, Arcigay, Arcilesbica, Circolo Mieli, Agedo, Famiglie Arcobaleno, ma non solo. Insieme a migliaia di milanesi che non si riconoscono in sigle o partiti ma nel semplice desiderio di civiltà, sono presenti Sel, Pd, i Cinque Stelle, Cgil (c’è anche il segretario generale Susanna Camusso), Uil, e i quattro candidati alle primarie del centrosinistra per le prossime amministrative. Tra di loro, a parte quella dell’outsider Iannetta, la presenza più anomala sembra essere quella di Beppe Sala, il benedetto da Renzi che il popolo orfano di Pisapia stenta a riconoscere come familiare. Lui però rifiuta l’addebito, ricorda che «già in Expo mi ero attivato per il riconoscimento dei diritti degli omosessuali», e soprattutto che «venire qui significa prendere atto della società contemporanea: sulle coppie non c’è nemmeno da discutere, e sulle adozioni neanche». Francesca Balzani e Pierfrancesco Majorino, gli altri candidati interni all’attuale giunta (lei è vicesindaco e assessore al Bilancio, lui titolare del Welfare) si sono già espressi a più riprese a favore delle unioni civili, dei diritti di gay, lesbiche e transessuali, dello stepchild adoption. Entrambi ricordano che il ddl Cirinnà è già frutto di un compromesso, e stigmatizzano l’iniziativa definita «oscurantista» di Maroni. Lo stesso fa anche Maurizio Martina, ministro Pd alle Politiche agricole, anch’egli presente (unico esponente del governo in tutta Italia): «Grave errore – dice – piegare un’istituzione alla propaganda di parte».
La piazza, come da programma, non si esprime né contro né pro il ddl Cirinnà, nonostante gli interventi dal palco da parte dei rappresentanti delle sigle lgbt e centinaia di cartelli alzati chiedano il matrimonio egualitario. Di fatto, quello che a breve approderà in Senato viene considerato il punto di partenza per rivendicare la piena parità. Nessuna passerella politica e nessuna divisione, questa è stata la parola d’ordine del comitato organizzatore. Come spiega Luca Paladini, co-fondatore del movimento «laico e antifascista» dei Sentinelli, tra i promotori della manifestazione: «Abbiamo voluto dare valore all’unità: oggi in Italia abbiamo visto la più grande mobilitazione per i diritti civili che ci sia mai stata. E ricordo solo che l’anno scorso la Danimarca ha festeggiato il 26esimo anno dall’istituzione delle unioni civili. Non siamo in ritardo, di più».
L’inizio era stato scandito dai cantanti del Checcoro, partiti a cappella con Bread and roses, per chiudere invece si canta l’Inno alla gioia e si balla con Mamma mia, Maledetta primavera, I wil survive. La colonna sonora dei diritti è densa e variegata.