In teoria per legge avrebbero diritto a un posto dove dormire, pasti caldi, una corso di italiano e assistenza sanitaria e legale. In teoria. In pratica sono costretti ad arrangiarsi da soli trovando riparo sotto un ponte, oppure occupando edifici vuoti o dando vita, insieme ad altri disperati come loro, a vere e proprie baraccopoli nelle periferie delle nostre città. Diventando così degli invisibili senza più diritti.

Sono diecimila gli stranieri che non trovano posto nel sistema di accoglienza italiano. Non si tratta di persone che si trovano nel nostro Paese senza un permesso regolare, «clandestini», come li bollerebbe il linguaggio della destra xenofoba. Tutt’altro. Sono invece persone che hanno ottenuto lo status di rifugiato o che attendono di conoscere l’esito di una richiesta di asilo. Tra di loro anche molti bambini, alcuni dei quali sotto i 5 anni. A denunciare le condizioni in cui vivono, disegnando una «mappatura delle vulnerabilità e dell’emarginazione sociale», è la seconda edizione del rapporto «Fuori campo» di Medici senza frontiere che ha preso in esame una cinquantina di agglomerati – da Bolzano alla Sicilia .- in cui rifugiati e richiedenti asilo trovano riparo. «Persone che avrebbero diritto ad accoglienza e protezione mentre oggi non hanno nemmeno un riparo decoroso, cibo sufficiente, l’accesso a cure essenziali», spiega Giuseppe De Mola, advocacy officier di Msf e curatore del rapporto.

Dei 47 luoghi ispezionati dagli operatori di Msf in 12 regioni più della metà, il 55%, non dispone né di acqua né di corrente elettrica. Si tratta di edifici occupati (53%), luoghi all’aperto (28%), tende (9%), baracche (4%), casolari (4%) e container (2%). Nella maggioranza dei casi sono rifugi abitati solo da uomini adulti (53%), seguiti da un 34% di insediamenti popolati da adulti con minori, mentre il 13% dei casi si trovano uomini e donne adulti senza minori. 17 sono invece i campi in cui si trovano bambini con meno di 5 anni. Per quanto riguarda la nazionalità ci sono persone provenienti dall’Africa sub-sahariana e dal Corno d’Africa, ma anche da Siria, Iraq, Pakistan e Afghanistan. Ma tra di loro è possibile trovare anche tanti italiani che condividono con gli stranieri le stesse condizioni di vita. «Sono persone che si scaldano con quello che possono e che hanno un enorme problema di accesso alle cure», spiega il direttore di Msf Italia Gabriele Eminente.

Le normative europee impediscono a queste persone di lasciare l’Italia e per questo vengono bloccate ai confini. Succede a Bolzano, a Trieste e a Ventimiglia, valico quest’ultimo che Msf definisce la «frontiera che uccide» con più di 20 persone che dalla fine del 2016 hanno perso la vita nel tentativo di arrivare in Francia. Inoltre il 23% degli adulti intervistati dall’organizzazione ha dichiarato di aver subito «almeno un atto di violenza da parte di uomini in uniforme, italiani o francesi, mentre tentavano di attraversare il confine.

Un’altra situazione di pericolo nasce dalle ordinanza comunali che, in nome del «decoro», ordinano sgomberi forzati degli edifici occupati dagli stranieri. «Abbiamo riscontrato la tendenza, che nasce da una visione degli sgomberi, alla parcellizzazione degli insediamenti in luoghi sempre più pericolosi, senza acqua né energia elettrica», denuncia il rapporto di Msf. Per uscire da questa situazione, capace di generare solo degrado, l’organizzazione chiede che venga unificato il sistema di accoglienza per richiedenti asilo e rifugiati, inclusi i minori non accompagnati, «superando i Cas (i centri di accoglienza straordinaria) e attribuendo agli enti locali il compito di attivare e gestire strutture di accoglienza». Ma anche di prevedere programmi di supporto all’inserimento lavorativo e abitativo e di trovare alloggi ai lavoratori stagionali superando così la logica dei grandi insediamenti. Ma anche di mettere fine agli sgomberi senza che prima sia stata trovata una soluzione alternativa.