Sono una decina, riferisce l’Osservatorio per i diritti umani di Londra, i soldati siriani morti nei nove raid aerei israeliani scattati nella notte tra domenica e lunedì in risposta all’uccisione di un 15enne (arabo israeliano) colpito, mentre era in auto, da un razzo anticarro sparato dal versante siriano del Golan. Una rappresaglia sanguinosa, contro postazioni e comandi locali dell’esercito siriano, che il premier israeliano Netanyahu minaccia di ripetere. «Se necessario, torneremo a far uso della forza. Colpiremo chiunque cerchi di colpirci», ha avvertito. A marzo quattro soldati israeliani rimasero feriti per l’esplosione di un ordigno nascosto lungo le linee di armistizio tra i due paesi. Da parte sua Damasco ha protestato all’Onu per l’attacco aereo israeliano, denunciando la violazione dell’accordo di cessate il fuoco del 1974 sottoscritto dalle due parti dopo la guerra del Kippur.

 

Alle Nazioni Unite si sono rivolti anche i palestinesi, con il sostegno di alcuni Stati arabi, per ottenere una riunione straordinaria del Consiglio di Sicurezza che condanni Israele per la “punizione collettiva” che da 12 giorni infligge alla popolazione civile palestinese – 5 uccisi, rastrellamenti e raid notturni in città e campi profughi, oltre 400 arresti (37 nelle ultime ore) – mentre porta avanti le ricerche dei tre giovani ebrei scomparsi in Cisgiordania e rapiti, secondo Netanyahu, da una cellula di Hamas. Il quotidiano Haaretz ieri indicava che l’esercito cambierà nei prossimi giorni il metodo, passando dalla repressione diffusa dei Territori occupati a una ricerca incentrata sui servizi segreti. Alla sede Onu di Ginevra parlerà, forse già oggi, anche Rachel Frankel, madre di Naftali, uno dei tre ragazzi scomparsi in Cisgiordania, per chiedere un intervento a favore del rilascio del figlio e dei suoi compagni.