Dal 26 al 29 ottobre la capitale indiana ha ospitato il terzo India – Africa Forum Summit che ha riunito rappresentanti di tutti i 54 paesi del continente africano – tra cui 40 capi di stato – al cospetto della «nuova» macchina delle relazioni estere dell’India di Narendra Modi. L’evento si è sovrapposto, chissà se con premeditazione da parte di NaMo, a una campagna elettorale più complicata del previsto attualmente in corso in Bihar, che assieme alla comparsata di Mark Zuckerberg all’Indian Insitute of Technology di New Delhi ha largamente adombrato la copertura mediatica del summit indo-africano, annunciato in precedenza con la solita enfasi «storica» insita nel «modismo».

Mai, prima di Modi, così tanti leader africani avevano fatto tappa contemporaneamente in India, dando occasione di mostrare al mondo una nuova e presunta centralità di New Delhi nelle questioni geopolitiche del globo. Obiettivo del summit in una sola parola: aumentare. Aumentare l’interscambio tra India e Africa (già in incremento costante fino ai 72 miliardi di dollari dello scorso anno); aumentare la cooperazione nei settori del commercio, difesa, industria, antiterrorismo, antipirateria, educazione; aumentare il peso specifico dell’asse indo-africana in seno alle grandi organizzazioni transnazionali, in particolare alle Nazioni unite, dove l’India sta spingendo per un allargamento del Consiglio di sicurezza; aumentare gli scambi culturali e di esperienze, attingendo alle numerose affinità che legano le due aree geografiche.

Insieme, le popolazioni di India e Africa rappresentano il 70 per cento dell’umanità attualmente ferma sotto la soglia di povertà. Vale a dire, 900 milioni di persone che vivono in due aree dove l’incremento demografico è contemporaneamente una minaccia e un’occasione. India e Africa puntano sulla metà piena del bicchiere, contando su una sempre maggiore cooperazione bilaterale che possa trainare le economie di entrambe le aree. L’India, dal canto suo, sa bene che gli spazi di manovra commerciale sul territorio africano sono stretti, buchi lasciati dallo strapotere della Cina che vanta un interscambio con l’Africa di 210 miliardi di dollari: tre volte quello indiano.

Secondo le ammissioni fatte dai funzionari di New Delhi le chance migliori in Africa se le potranno giocare le piccole e medie imprese, mentre l’invito a investire nel subcontinente della campagna «Make in India» è sempre esteso alla totalità del globo terracqueo, Africa compresa. Modi, nella complessità di dover far coincidere un evento grandioso con la cura di rapporti più intimi senza dare l’idea di aver organizzato un baraccone buono per le telecamere, ieri ha tenuto 19 colloqui bilaterali, sottolineando l’impegno indiano nella lotta al terrorismo.

Poco prima, aveva annunciato l’apertura di una linea di credito da 10 miliardi di dollari in cinque anni più altri 500 milioni in non meglio specificati «grant», assieme a 50mila borse di studio per formare giovani africani nei poli d’eccellenza universitaria indiani. L’India, come annunciato, ha voluto presentarsi come superpotenza «amica» ma dagli intenti meno «estrattivi» rispetto a quelli cinesi.