Quasi allo scoccare della mezzanotte tra il 24 e il 25 agosto, esattamente alle 23.58, il primo ministro della Tunisia Hichem Mechichi ha presentato la sua nuova squadra di governo. L’orario non è casuale, la scadenza per l’ex ministro degli Interni era fissata due minuti dopo.

L’ÉQUIPE GOVERNATIVA è composta da 28 ministri, tra cui otto donne, nessuno dei quali assoggettabile a qualche forza politica. In una conferenza stampa notturna, Mechichi ha ribadito la sua scelta: «Il governo di competenze indipendenti dovrà lavorare per concretizzare dei risultati nei campi economici e sociali».

La lontananza dei ministri dalle logiche partitiche rispecchia in pieno la volontà del presidente della Repubblica Kaïs Saïed. Dalle elezioni legislative dell’ottobre 2019 il capo dello Stato ha visto transitare al palazzo di Cartagine diversi candidati alla poltrona di primo ministro, da Habib Jemli del partito islamista Ennahda a Elyes Fakhfakh, de facto indipendente ma la cui legislatura è durata sei mesi prima di dimettersi con l’accusa di un presunto conflitto d’interesse.

È stato così che Saïed ha preso in mano le redini di un paese affranto dai partiti e dall’Assemblea dei rappresentanti del popolo (Arp) e ha scelto Mechichi, uomo fidato e ministro degli Interni sotto il governo Fakhfakh. Il presidente ha preso una decisione molto netta non ascoltando le richieste di partiti come Nidaa Tounes, al governo dal 2014 al 2019, Ennahda e Qalb Tounes del magnate Nabil Karoui.

LA PALLA PASSA ORA al parlamento che avrà dieci giorni di tempo per conferire la fiducia al nuovo governo. Nonostante le varie proteste dei partiti presenti all’Arp, non ci dovrebbero essere particolari dubbi sull’esito del voto: la paura di elezioni anticipate, previste nel caso per inizio 2021, è infatti superiore a un’eventuale sfiducia nei confronti della mossa presidenziale. La partita si giocherà sulle due forze maggioritarie presenti in parlamento: Ennahda, con 54 seggi e Qalb Tounes con 27.

Il leader del partito islamista Rachid Ghannouchi non ha atteso il consiglio della Shura sul nuovo esecutivo previsto nei prossimi giorni per esprimere la propria opinione: «Rifiutare questo governo è un problema perché lascerebbe il paese nel vuoto, ma anche votare a favore è un problema poiché il governo non rappresenta né i partiti né il parlamento».

Una frase che spiega molto bene il ruolo stabilizzatore che vuole ricoprire Ennahda in questa fase e allo stesso tempo il timore per delle nuove consultazioni. Secondo i sondaggi più recenti, a oggi vincerebbe Abir Moussi, leader del Parti destourien libre, vicina alle posizioni dell’ex presidente autoritario Ben Ali.

DA QUASI DIECI ANNI la Tunisia soffre una crisi economica, aggravata negli ultimi mesi dall’epidemia di Covid-19. La frammentazione politica rischia di compromettere quelle riforme necessarie per far ripartire l’economia e rinforzare le istituzioni di un paese che non è mai riuscito a portare definitivamente a termine il suo percorso democratico.

A oggi manca ancora una Corte costituzionale e il processo di decentralizzazione dalla capitale verso le collettività locali, pensato per favorire le regioni economicamente più emarginate, è fermo alle elezioni municipali del maggio 2018.

La Tunisia, oggi, è un paese bloccato. Lo è politicamente per la mancanza di una maggioranza governativa chiara, lo è economicamente con l’aggravarsi del tasso di disoccupazione, arrivato al 18 per cento, e lo è da un punto di vista sociale con l’aumento delle partenze di migranti tunisini verso l’Italia, già raddoppiate rispetto al 2019.