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La lunga pandemia ha interrotto i fili e le trame del nostro vivere insieme e così l’agognata «ripartenza culturale» sembra affidarsi alla minuziosa pratica del cucire e ricucire  frammenti. È, infatti, una mostra che entra in un dialogo complesso con la storia, la letteratura e gli spazi di un museo-scrigno di antichità scultoree quella che si è appena aperta al museo Barracco di Roma – visitabile fino al 19 settembre.
Qui dieci artiste italiane, quasi in punta di piedi (al contrario di Damien Hirst alla Borghese), interrogano la Vita Nova di Dante, testo giovanile intessuto di visioni, sogni d’amore, tremori per presagi di morte – quella dell’adorata ispiratrice poetica e narrativa – schierandosi «dalla parte di Beatrice», nell’esposizione ideata e curata da Alessandra Mammì e prodotta dal Centro studi Roccantica, associazione culturale fondata da Ileana Florescu (dal titolo, appunto, La Vita Nova).
Qualcuna, come Marta dell’Angelo, va alla ricerca del corpo fisico di una Beatrice angelicata, che appare solo come corollario funebre, sul letto fatale. Lo rintraccia e lo fa rivivere in un «passaggio», sorretto da un altro corpo femminile, con quell’affidamento in custodia che, per tradizione, attraversa l’esistenza di molte donne nei momenti di crisi.
La poeta Patrizia Cavalli (Ma quale amore?) scompone e ricompone in una specie di filastrocca la parola «musa» e trasforma i suoi versi in una coreografia dipinta che rimanda alle avanguardie della scrittura automatica (eppure qui consapevolissima – «sono poeta anch’io», stigmatizza sulla cornice della porta di una sala).
È il numero nove, ricorrente e dai contorni magici, ad attirare l’attenzione di Marzia Migliora tra i brani della Vita Nova: l’artista guarda a Navdanya (nove semi), la banca dei semi che Vandana Shiva pone alle basi dell’agricoltura e del nostro sviluppo sostenibile. Nella sua serie Paradosso dell’abbondanza, Beatrice da creatura quasi celeste che abita l’immaginazione febbrile di Dante scende a terra, nei campi: diventa generatrice di futuro con il lavoro di tutte le donne di cui lei è la somma sintesi.
Elisa Montessori si sposta nel Paradiso della Divina Commedia per trovare la voce di quella Beatrice sempre silente altrove. E segue il consiglio che lei dà al Poeta, si volge al giardino (l’hortus conclusus), all’eterno ciclo delle stagioni srotolando un erbario dipinto in un raffinato leporello.

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Con un atteggiamento performativo, Elisabetta Benassi fa cortocircuitare l’inizio con la fine. A ogni artista, infatti era stato dato il libro della Vita Nova in eredità per trarne libera ispirazione in virtù della mostra. Lei lo fa riapparire, lo moltiplica, lo lascia in museo e lo dedica alle ragazze che portano il nome di Beatrice, dai 9 ai 24 anni. Solo loro potranno uscire dal Barracco stringendo una copia firmata e numerata di quel Dante innamoratissimo. E proprio all’amour, al farsi cammeo prezioso di coppia e di rispecchiamenti ossessivi è dedicata l’opera di Giosetta Fioroni, con un Dante rapace però, che afferra la testa (e quindi i pensieri intimi) di Beatrice.