I Per la quinta volta in meno di un mese ieri è stato celebrato un nuovo rientro in classe con le modalità più difformi e diseguali delle scuole superiori in sette regioni in Puglia, Calabria, Basilicata, Sardegna, Veneto, Friuli-Venezia Giulia e Campania quasi un milione di ragazzi rientra in classe. Il 7 gennaio sono tornati in classe gli studenti delle province autonome di Trento e Bolzano; l’11 gennaio i ragazzi della Valle d’Aosta, Toscana e Abruzzo; il 18 gennaio di Lazio, Emilia-Romagna, Piemonte e Molise; il 25 gennaio hanno ripreso Lombardia, Liguria, Marche, Umbria e Campania, ma solo le medie.

SOLO IN ALCUNE REGIONI, e non in tutte, ieri sarebbe rientrato, ufficialmente, il 50% degli studneit che si alternano inclasse in modalità «didattica integrata», metà in presenza e l’altra da casa. Invece i docenti sono tornati ad essere costretti a fare lezione in classe. Questa è la situazione prodotta dalle indicazioni vaghe lasciate in eredità dalla ministra uscente dell’Istruzione Lucia Azzolina (M5S). In questa realtà le scuole del Sud stanno peggio. Le superiori di Campania e Calabria hanno preso esempio dalla Puglia di Emiliano (Pd) e hanno adottato il modello della »scuola à la carte», la cosiddetta «Das»: la didattica a scelta. Pur di non prendersi la responsabilità di garantire un rientro in sicurezza a docenti, studenti e genitori queste regioni hanno delegato alle famiglie la scelta di mandare i figli a scuola. Da un lato, hanno abdicato alla scuola della costituzione, confermando l’autonomia differenziata nei fatti creata dalle regioni che non rispettano le decisioni dei Dpcm del governo; dall’altro lato, hanno confermato che la delega del governo «Conte 2» ai prefetti nella gestione dei trasporti non è stata ritenuta sufficiente per garantire il rientro. Questa, tra l’altro, è anche l’ammissione che le istituzioni ad ogni livello non sono in grado di garantire un sistema di medicina scolastica e territoriale e dunque la prevenzione dal contagio da Covid, oltre che il suo tracciamento. Questo ha imposto il caos dell’ultimo rientro.

PER CAPIRE LA SITUAZIONE andiamo in alcune scuole di Bari, ad esempio. Al liceo scientifico Scacchi, tra i più grandi del capoluogo, è tornato in presenza il 17% degli studenti, 300 su 1.560. Sono tre classi al completo su 63, alcune sono invece rimaste con la didattica completamente a distanza, in altre ci sono solo 2-3 alunni e altre ancora arrivano fino a 10-15 presenze, sostiene la preside Chiara Conte. In media, nelle altre scuole superiori, le presenze si attestato tra il 20 e il 25%. Dalle testimonianze raccolte tra i docenti in tutta la regioni sono in molti a criticare la discriminazione tra la scelta delle famiglie di fare rientrare i figli e l’obbligo imposto a chi lavora di andare scuola, esponendo i genitori anziani, i coniugi e i malati legati a queste persone al rischio di un contagio. Senza contare l’impossibilità di garantire una didattica uguale per chi sta in classe e chi sta a casa. Sin andrà avanti fino al 6 febbraio, poi un’altra ordinanza potrebbe prolungare la situazione.

«SI CORRE IL RISCHIO di generare solo confusione e la proposizione di misure insoddisfacenti come quelle che prefigurano una scuola “à la carte”» ha scritto in una lettera la Flc Cgil al presidente della regione Campania De Luca. Il sindacato denuncia il lavoro improprio svolto dai docenti e dai presidi trattati come «dipendenti delle Asl». Invece di assumere medici e infermieri da fare intervenire nelle scuole si chiede al personale di fare il loro lavoro attraverso una piattaforma «Sinfonia».

SE ANDIAMO A ROMA la situazione è la seguente. «Il mantenimento della didattica mista al 50%, il doppio orario di ingresso (alle 8 e alle 10 ogni mattina), il prolungamento dell’orario scolastico fino alle 16, la reintroduzione del sabato sono condizioni inaccettabili, perché erodono tempo di vita, di studio e di lavoro a noi e agli studenti». Lo scrivono a Il Manifesto i docenti del licei Enzo Rossi e Henri Matisse di Cave di Roma in una delle numerose mozioni pubbliche che stiamo pubblicando da più di un mese sul nostro sito. «La Ddi è addirittura peggiorativa, perché si sostanzia in una didattica mista che compendia i difetti di entrambe le modalità: quella in presenza e quella a distanza. Preparare una lezione a distanza comporta un’organizzazione e un lavoro diversi da quelli necessari per una in presenza; la didattica mista non è né carne né pesce e ci costringe ad acrobazie metodologiche irrispettose della nostra professione.Dopo quasi un anno la scuola, l’istruzione di ragazzi e ragazze, avrebbe meritato di più e di meglio».

COSI’RIAPRE la scuola precaria e divisa in un paese dove il diritto alla salute è contrapposto a quello del lavoro e dell’istruzione.