«HaGHibor, HaGhibor», «Eroe, Eroe». Erano centinaia ieri mattina a scandirlo davanti al quartier generale dell’esercito israeliano a Tel Aviv, in attesa di conoscere la pena per il soldato Elor Azaria, responsabile quasi un anno fa dell’uccisione a sangue freddo di Abdel al Fattah al Sharif, un assalitore palestinese, non più in condizione di nuocere, che poco prima aveva ferito con un coltello un militare israeliano. Nella folla di “amici di Elor” ieri c’era anche il noto singer nazionalista Ariel Zilber. Con l’accompagnamento di una tastiera elettronica, Zilber ha cantato più volte il brano che ha composto in onore del militare incarcerato: un valoroso difensore di Israele dalla «minaccia del terrorismo arabo». Anche altri artisti israeliani sono scesi in campo per chiedere la liberazione immediata di chi «ha fatto la cosa giusta», finire un “terrorista”.

Intorno alle 12, è stata comunicata la pena: 18 mesi di carcere. I supporter di Azaria hanno cominciato ad urlare in segno di protesta. Pretendevano l’assoluzione completa dell'”eroe”, per una questione di principio. Ma sapevano di potersi accontentare. Azaria nel carcere militare, dove ha già scontato parte della pena, ci rimarrà davvero poco. E poi potrebbe essere perdonato subito. «Israele ha bisogno di garantire la sua sicurezza e perciò è necessaria una grazia immediata per Elor Azaria» ha commentato il ministro dell’istruzione Naftali Bennett, leader del partito nazonalista religioso Casa Ebraica. «Quel soldato – ha aggiunto – aveva l’incarico di difendere i cittadini d’Israele durante l’ondata di terrorismo palestinese con i coltelli…anche se avesse commesso un errore, non deve scontare la sua pena in carcere». Sprezzante il commento di Eti, la sorella di Azaria. «Mi vergogno molto di questo Paese, Elor sei il nostro eroe».

Un anno fa a Tel Rumedia, nella zona H2 di Hebron, Azaria, militare con l’incarico di infermiere della Brigata Kfir, fu ripreso con una telecamera da un palestinese – collaboratore del centro per i diritti umani B’Tselem – mentre con calma carica il mitra, mira e spara alla testa di Abdel Fattah al Sharif immobile sull’asfalto. Un’esecuzione a tutti gli effetti, avvalorata dalle intenzioni manifestate pochi istanti prima da Azaria ad alcuni commilitoni di «farla pagare al terrorista». Quelle immagini fecero il giro del mondo. I comandi israeliani ordinarono l’arresto di Azaria, accusato però dalla procura militare solo di omicidio colposo. Il soldato, ha sostenuto la difesa durante il processo, avrebbe sparato nel timore che il palestinese potesse azionare una cintura esplosiva nascosta sotto la giacca. Una tesi respinta dalla procura militare e poi dai giudici che il mese scorso hanno trovato Azaria colpevole, scatenando le proteste di una larga porzione di opinione pubblica.

Amaro il commento della famiglia di Abdel Fattah al Sharif. «Fin dall’inizio sapevamo che era un processo farsa che non ci avrebbe dato giustizia» ha detto il padre «E’ stata un’uccisione a sangue freddo ma quel soldato ha ricevuto meno di quanto un ragazzino palestinese prende per il lancio di pietre». Considerazioni appropriate dopo la condanna a 91 giorni di carcere e alla multa di 3mila shekel (circa 750 euro) decisa due giorni fa dalla corte militare di Ofer nei confronti del 15enne palestinese Ahmed al Khaddour, colpevole di aver lanciato pietre ai soldati. In proporzione il ragazzino palestinese ha ricevuto una punizione ben più severa di quella inflitta a Azaria. «Questo caso sarà ricordato per due aspetti – spiegava ieri Hassan Jabarin, direttore della ong Adalah, che offre assistenza legale ai palestinesi – Nel suo atto d’accusa perché Israele, di solito, non incrimina i suoi soldati anche quando le prove indicano che è stato commesso un reato. E per la sua sentenza minima, che riflette la diffusa impunità goduta in Israele dagli uomini delle forze armate. La condanna di Azaria a 18 mesi è espressione del disprezzo per il valore della vita dei palestinesi». B’Tselem l’anno scorso ha annunciato che non presenterà più denunce alla procura militare di fronte alla sistematica archiviazione delle indagini nei confronti di soldati accusati di crimini contro i palestinesi.

Non pochi attivisti israeliani e i palestinesi sono convinti che Azaria stia pagando solo lui per quella che è una pratica diffusa tra i militari: sparare senza pensarci due volte contro gli aggressori palestinesi veri e presunti, anche se non sono realmente in pericolo. E qualcuno sussurra che se non ci fosse stata la telecamera di B’Tselem quel giorno a Hebron, forse Elor Azaria oggi sarebbe libero.