Tre anni fa, all’epoca della rielezione di Giorgio Napolitano, la piazza urlava «Ro-do-tà», i capigruppo erano Roberta Lombardi e Vito Crimi, e quest’ultimo dovette farsi prestare il megafono dagli attivisti dei centri sociali accorsi in piazza Montecitorio. Finì che i portavoce grillini capirono che quella piazza non potevano controllarla, accolsero l’invito della Digos ad andarsene a casa e dissero a Beppe Grillo di non venire a Roma.

Ora invece il personale pentastellato porta due casse e un microfono per arringare la piccola folla che si affaccia alle transenne. Sono soprattutto cinquanta-sessantenni che guardano i parlamentari come bravi ragazzi spediti alla pugna contro «la Casta». È come se fossero figli loro, dicono di non sciuparsi mentre vendicano i torti subiti dalla «gente», vorrebbero proteggerli dalla «piscina di squali» (Di Battista dixit) che è il Parlamento. Usano concetti sia di destra che si sinistra, miscela di parole d’ordine e pulsioni, forma estrema di sincretismo oltre le culture politiche date. Bandiere tricolori e maschere di V per Vendetta. Arriva Nicola Morra, che non sta alla Camera ma al Senato e quindi non deve votare. Si schernisce: «Quando devo mangiare da qualche parte cerco la pizzeria più economica. Le nostre rendicontazioni saranno anche opache, ma almeno ci sono».

«Dovreste stare con noi invece che con quelli là», intima una signora a un poliziotto che sorveglia l’accesso alla piazza, mentre per provare l’amplificazione si ripete come un mantra «Oh-ne-stah, Oh-ne-stah». Lo slogan che arriva dalle retrovie è «Reddito di cittadinanza/Per l’Italia unica speranza». Da qualche parte c’è anche Marione, il vignettista grillino che è una sorta di Forattini da social network che ogni giorno traduce in disegni i tormentoni che circolano su Fb. Sono venuti a farsi sentire ma soprattutto a guardare da vicino i portavoce.

Il primo a uscire dalla Camera, occhi spiritati e passo deciso verso la folla, è il frontman Alessandro Di Battista. Rosso in volto, punta le telecamere. «Questa sarebbe la democrazia? Questa è gentaglia – urla al microfono – Renzi è il terzo presidente del consiglio scelto dalle banche. Dobbiamo riconquistare la sovranità. Con la nonviolenza, con la partecipazione attiva e anche con la disobbedienza civile». Poi arriva Carlo Sibilia: «Il problema di questo paese sono i partiti politici!». Dai manifestanti parte il coro che arriva dai giorni di Falcone e Borsellino: «Fuori la mafia dallo Stato!».

Arriva Roberta Lombardi, prima firmataria del progetto di legge che avrebbe dovuto dimezzare l’indennità. Pare che sia furiosa, e non solo per il rinvio in commissione del suo testo. La sua avversaria nel M5S Virginia Raggi ha rilasciato un’intervista a Repubblica che avrebbe sortito l’effetto di depotenziare l’affondo sui costi della politica. Dalla piazza ci si sposta di nuovo davanti all’ingresso, dove i deputati 5S strotolano lo striscione: «Dimezzatevi lo stipendio, ecco la vera riforma». Di Battista si intrattiene coi giornalisti: «Stiamo incanalando la rabbia che circola nel paese», spiega. Poi sente di nuovo il richiamo della ribalta, riguadagna il microfono e urla: «Il Pd è il partito più pericoloso che ci sia in Europa. Volete che ve lo dica? Va bene, ve lo dico: Renzi mi sta sui coglioni!». Boato dalla piccola folla.