Forse il Movimento 5 Stelle comincia a sentire il peso della quarantena politica di queste settimane. È bastata una scintilla, il ritorno in campo di Alessandro Di Battista dopo il viaggio in Oriente e qualche settimana di silenzio, per ridare voce alle tensioni interne e ai problemi che parevano essere stati messi da parte in nome dell’emergenza coronavirus e del sostegno al governo. Non è la solita sceneggiatura. Le ruggini sono datate ma si innestano nella situazione radicalmente nuova della pandemia. In questo contesto inedito nel giro di poche ore si torna a parlare di questioni ricorrenti: dissenso ed espulsioni, rispunta la mancanza di democrazia interna e ci si interroga sul senso e sull’identità del M5S al governo.

Di Battista ha sferrato due affondi a Giuseppe Conte proprio in giorni delicatissimi per la maggioranza. Il primo riguarda l’opposizione al Mes e la complicata trattativa che si terrà in Europa dopodomani. Il secondo le nomine soprattutto criticando la conferma di Claudio De Scalzi al vertice di Eni. Quest’ultimo nodo è relativamente meno strategico ma salta di più agli occhi, perché prende la forma di un documento che raccoglie l’adesione di numerosi eletti grillini, molti parlamentari e qualche eurodeputato. È una forma di espressione inedita e abbastanza clamorosa nel M5S, dove è rarissimo che le fronde si costituiscano in forma pubblica e con tanto di lista delle adesioni. Per questo il reggente Vito Crimi si è allarmato quando si è cominciato e parlare di un Di Battista determinato a varcare il Rubicone della crisi e diventare il leader di un M5S all’opposizione di un governo tecnico. E per questo più di uno dei sottoscrittori di quell’appello, una quarantina, fa sapere che «al di là della questione delle nomine», se potesse tornare indietro non manderebbe la sua adesione a un testo fatto circolare a fine giornata, via chat e senza chiarezza sul contesto.

Ma al di là delle prese di distanza del giorno dopo, Di Battista ha raccolto anche il moto di dissenso pregresso di chi nel M5S soffre questa maggioranza. Se il vero passaggio fondativo dell’attuale governo c’era stato quando, nel luglio scorso, un mese prima del divorzio con la Lega i parlamentari europei del M5S avevano deciso di votare per Ursula von der Leyen alla presidenza della Commissione Ue, allora non bisogna sottovalutare il fatto che proprio i quattro grillini che non votarono con popolari, liberaldemocratici e socialisti l’altro giorno hanno votato contro la risoluzione che l’assemblea di Bruxelles ha approvato sulle risposte alla crisi. E che sempre quei quattro, due giorni fa siano stati tra i primi a firmare il documento di Di Battista che critica il governo sulle nomine. Sono Ignazio Corrao, Piernicola Pedicini, Eleonora Evi e Rosa D’Amato, che secondo indiscrezioni fatte trapelare dai vertici sarebbero finiti sotto il controllo dei probiviri. Non rischiano l’espulsione, al momento, ma probabilmente si procederà con un richiamo formale già nelle prossime ore.

Tra gli espulsi, ma per la questione dei rimborsi, ci dovrebbe essere invece un altro dei firmatari dell’appello diffuso da Di Battista: il senatore Mario Michele Giarrusso, che da tempo non lesina critiche a Di Maio e ai vertici del M5S. L’ex ministra del sud Barbara Lezzi, da tempo sulle barricate, protesta contro chi vorrebbe «intimorire chi manifesta dissenso con promesse di sanzioni e minacce di espulsioni ».Tra i dissidenti pregressi c’è anche un’altra componente del governo Conte I, Giulia Grillo: «Puntare il dito contro Alessandro come l’uomo che vuol far tremare la terra sotto ai piedi a Conte è sbagliato e fuorviante – afferma l’ex ministra della salute – Lui si è unito a una richiesta che io e altri parlamentari condividiamo e stiamo portando avanti».

Di nuovo c’è anche che i «centristi» di Luigi Di Maio, che finora avevano utilizzato le critiche a Conte per bilanciare le spinte che vengono dai governisti vicini a Roberto Fico, sono finiti nel mirino delle critiche. «Siamo mica diventati una corrente di Franceschini? – chiede sempre Lezzi – Perché se questo sta bene a Spadafora, a Di Maio o a chiunque altro, a me non va bene».