Tra gli applausi scroscianti dei deputati e dopo un voto bulgaro (99,83 % a favore) Miguel Diaz-Canel alle 9,30 di ieri mattina è salito alla presidenza del Consiglio di Stato, massimo organismo istituzionale di Cuba, accompagnato dal presidente uscente Raúl Castro.

È iniziato così il rinnovamento generazionale della Rivoluzione cubana con il minore dei fratelli Castro che legittima «il compagno più preparato» per continuare gli obiettivi della Rivoluzione: un socialismo riformato in modo da essere «prospero e sostenibile».

Il nuovo presidente non ha deluso. Ha pronunciato un discorso molto emotivo, ma efficace. E soprattutto coinciso – circa 20 minuti – senza alcuna retorica. Innanzi tutto per ribadire la legittimità della «democrazia socialista» cubana, ovvero del lungo processo elettorale nel quale tutti i livelli del Poder popular cubano (municipio, provincia e nazionale) sono stati impegnati per eleggere la nuova Assemblea nazionale (Parlamento unicamerale), che per età (media 49 anni), composizione sociale, di genere e di colore (afrodiscendenti) è «più simile che mai alla società cubana».

Dunque, ha ribadito Díaz-Canel, «è espressione del popolo e con il popolo si identifica». Un discorso chiaro rivolto alle nuove e aggressive dichiarazioni della Casa bianca che ha fatto eco alle posizioni radicali dell’anticastrismo della Florida asserendo che le elezioni cubane sono state una farsa.

Ancor più chiaramente il nuovo presidente ha ribadito che il Partito comunista – «forza superiore dirigente della società» secondo l’articolo 5 della Costituzione – è «il garante dell’unità del popolo cubano» e che Raúl, che resta primo segretario, «è l’attuale leader della rivoluzione». Dunque che vi è, rispetto al passato una nuova separazione dei poteri: Stato e governo e potere politico affidati a diversi organismi e non più riuniti in un solo leader.

Per sé, come presidente e per il Consiglio di stato e di governo, Díaz-Canel rivendica il compito di realizzare la «modernizzazione del sistema economico e sociale» (riforme) decise dai ’Lineamenti’ approvati sette anni fa dal Congresso del Partito comunista. Ovvero le riforme che hanno per obiettivo la realizzazione di «un socialismo prospero e sostenibile» e con l’impegno ribadito «che non vi sarà restaurazione del capitalismo» a Cuba.

La nuova generazione che assume la gestione del paese agirà in linea con «il lascito politco e intellettuale di Fidel», mettendo in chiaro che« la rivoluzione non finisce con la guerriglia» e con i leader che la fecero. Di suo, il nuovo presidente «mette la volontà di agire con efficacia, senza facili promesse, che non siano quelle di lavorare».

Ma rivendicando anche la modernità della nuova rappresentazione politica (Assemblea) e direzione, una sorta di gap tecnologico con la precedente generazione pre-internet. Infine, in una fase assai delicata della situazione internazionale, con evidenti pericoli per la pace, «Cuba manterrà la sua politica estera» basata nella disponibilità alla difesa della pace e al dialogo ma sulla base della «difesa della sovranità e dell’indipendenza» dell’isola.

Per queste ragioni Díaz-Canel ha proposto di posporre alla prossima sessione dell’Assemblea nazionale (a luglio) la nomina del nuovo governo ma di ratificare intanto che il primo vicepresidente del consiglio dei ministri sia Mesa, appena nominato primo vicepresidente del Consiglio di Stato «come continuità di un metodo» che riconosce valido.

Come successivamente ha precisato Raúl Castro nel suo discorso, questo lasso di tempo servirà anche per preparare la riforma della Costituzione che ormai è necessaria, anche per ratificare la separazione dei poteri – legislativo, esecutivo e politico – iniziata in questa nuova legislazione. Ma ribadendo chiaramente che il Pc resterà la forza dirigente e che lui, Raúl, resterà primo segretario fino al prossimo congresso del Pc nel 2021.

Per il presidente uscente la scelta di Díaz-Canel è frutto di un lungo lavoro, che dovrà proseguire con la formazione di nuovi quadri sotto la guida della vecchia generazione. In particolare l’ex presidente ha inserito in questa sorta di nuovo corso la legittima della piccola impresa privata (cuentapropismo).

Non vi sono dubbi che la decisione di attuare un rinnovamento generazionale da tempo espressa da Raúl sia in corso di attuazione. Il primo elemento che risalta è che la vecchia guardia ha realmente iniziato a ritirarsi dal massimo organo rappresentativo dello Stato (Consiglio di Stato e di governo): non solo l’ex presidente, ma anche il tradizionale numero due Machado Ventura (88 anni) e altri dirigenti non ne fanno parte.

Il nucleo storico della rivoluzione si attesta nel nucleo duro del potere (come è stato riconosciuto anche dal nuovo presidente) ovvero la direzione del Partito comunista che rimane sotto controllo di Raúl e Machado Ventura. Nel Consiglio di stato rimangono, come probabile cinghia di trasmissione, il comandante Ramiro Valdés, il generale Leopoldo Cintra Frías e Guillermo García Frías.

L’altro dato importante è la presenza relativamente contenuta di militari nel Consiglio di Stato: le Forze armate mantengono una presenza (3 membri) ma non l’aumentano. Si tratta, come ipotizzano alcuni commentatori, dell’inizio di una progressiva smilitarizzazione dello Stato, oppure del fatto che le Forze armate hanno deciso di ritirarsi nei punti nevralgici del potere, il Partito comunista e l’economia.