Scrivo di Napoli da Parigi : qui al teatro Atheneè Toni Servillo incarna il grande attore francese in uno straordinario spettacolo prodotto da Teatri Uniti col Piccolo di Milano, le lezioni di Jouvet su Elvira del Don Giovanni di Molière, che approderà a Napoli in febbraio. In un’altra sala del teatro gli attori di Teatri Uniti recitano Eduardo, Dolore sotto chiave e Pericolosamente, regia di Francesco Saponaro, con l’eclatante coppia Laudadio/Saltarelli. Il pubblico è in delirio e penso a quanto Jouvet e Eduardo si somigliassero, stessi silenzi, stesso tratto teso ed essenziale. Lezioni di vita e di teatro. Percorro il Passage du Commerce e penso a Benjamin e per sincronicità al suo viaggio napoletano, quando la città gli si rivelò come “porosa”, labirinticamente permeata di energie segrete. Le due città si somigliano, percorse dal soffio “anacronico” di capitali europee (dal XVI al XX secolo, dal barocco al moderno). Si respira l’aura che decade e si sgretola ma non cessa di depositarsi e liberare intensità. Da un po’ di tempo ho in mente di raccontare Napoli, il suo territorio diffuso, la vitalità creativa che la investe in questo periodo, e che viene da lontano, così come va lontano. Le gallerie d’arte in fermento (come gli spazi plurimi di Peppe Morra nel ventre secolare di Napoli o il Madre dove ora c’è una splendida mostra dedicata a Fabio Mauri, il Pan, il Museo Archeologico Nazionale in sinergia con Pompei e la sua rinascita sotto la direzione di Osanna, dove al Teatro Grande questa estate ci sarà una incursione scenica nel mito antico tra l’altro con Le Baccanti messe in scena da Andrea De Rosa) e le stazioni del Metro diventate da qualche tempo spazi dell’immaginario, con le installazioni di Bob Wilson e le foto di Mimmo Iodice. Certo una città-teatro: con Martone che inizia le prove del Sindaco del Rione Sanità di Eduardo fatto con giovanissimi attori nell’hinterland di San Giovanni a Teduccio; l’instancabile attività della Factory di Teatri Uniti ( Servillo,Curti, Rondanini, Fiorito, Renzi, Maglietta, Saponaro, Laudadio, Ianniello); il festival internazionale del teatro ora diretto da uno scrittore-regista-attore come Ruggero Cappuccio; lo Stabile diventato Teatro Nazionale, col Mercadante e il San Ferdinando e la sua scuola nel ricordo di Eduardo e di Luca; il Teatro della Sanità (quartiere che è miracolosa “enclave” di ipogei e fasti secenteschi, di gruppi di base e di giovani che si dedicano al recupero dei suoi luoghi antichi); i progetti per i 50 anni dalla scomparsa di Totò (che nacque nel vicolo “Antesaecula” della Sanità); il Teatro Nuovo, la Galleria Toledo e il Bellini, L’Elicantropo, la Sala Assoli e la Casa del Contemporaneo di Igina Di Napoli, con propaggine salernitana, tutti luoghi di creazione dove fioriscono progetti “fuori routine”; il glorioso Spazio Libero di Vittorio Lucariello, dove continua l’onda lunga della sperimentazione e entro cui si sono formati Martone, Servillo, Angelo Curti, Pasquale Mari, Lino Fiorito, i Virtuosi di San Martino; e poi il lavoro indispensabile sulla lingua di scena di Enzo Moscato e quello dirompente e vulcanico del corpo-testo d’attore-creatore di Mimmo Borrelli (inventore di un festival nel nome del ribollente del dio Efesto ai Campi Flegrei e ora “adottato” dal Piccolo Teatro); un regista apolide ed estremo, rigoroso e sorprendente come Antonio Latella (premio Ubu pochi giorni fa); il lavoro pieno di echi e brividi di Davide Iodice e quello estatico e carnale di Alfonso Benadduce; l’inventiva misterica tra pittura e teatro, video e cinema di una singolarità come quella di Lamberto Lambertini (discendente diretto di Murat e medianico scrutatore degli arcani di Napoli, come già fu ed è Roberto De Simone) che ha filmato le cantiche dantesche in giro per l’Italia e molto nei meandri napoletani; e poi la miriade di gruppi teatrali che agiscono in spazi inusuali, come i mille chiostri e chiese e palazzi; e i centri occupati di cultura e creatività, ne agiscono una decina, a partire dal capofila ex-asilo Filangieri, e le “punte corsare” nate al Teatro di Scampia e capitanate da Emanuele Valenti e Marina Dammacco e il Teatro Area Nord che esiste e resiste nella fertilità dell’hinterland come persiste la vulcanicità collettiva dei ragazzi di Arrevuoto, allevati negli anni da uno scrittore-sceneggiatore come Maurizio Braucci; e la dedizione femminile e fertile di giovani registe come Alessandra Cutolo, Linda Dalisi, Sara Sole Notarbartolo, Susanna Poole. Eppure un “tempio” ufficiale come il San Carlo ospita registi come Amos Gitai o Pippo Delbono; e “templari” appaiono all’ombra o al sole le cavee teatrali grecoromane recuperate a Posillipo o nel cuore dei vicoli dell’Anticaglia, così come la reviviscenza popolare del Trianon nel “fondo” di Forcella, diretto da Nino D’Angelo. E poi la musica, da Avitabile a Canio Loguercio, da Sepe a Gragnaniello, da Mauro Gioia a Raiz, da Toni Cercola a Fausto Mesolella (Carlo Luglio, regista di cinema alla ricerca delle “radici” visivo-sonore di Napoli, chiamerà a raccolta le “voci napoletane” intorno al “Re della sceneggiata” al Teatro Augusteo, il 2 Febbraio). E ancora la letteratura, dalla onnivoracità di Giuseppe Montesano che affonda le sue mani e la sua mente “nel corpo di Napoli”, a Valeria Parrella e Diego De Silva, ai tragitti fotoscritturali “giùnapoli” di Silvio Perrella; e poi il boom della Napoli noir, gialla, misterica ed esoterica che ha visto l’improvviso successo di Maurizio De Giovanni, tradotto in immagini televisive con I bastardi di Pizzofalcone, e il “mistero” eclatante e internazionale di Elena Ferrante. Poi la genialità visuale del lavoro di luce e tenebra dei fotografi, da Biasucci a Accetta, da Iodice a Donato, cosi come il segno forte e sensitivo di tanti artisti visivi, anzitutto Nino Longobardi, il cui lavoro in me è inscindibile dalla memoria di Lucio Amelio, e poi il “ridisegno” graalico dell’universo di una sorta di poligrafo ermetico come Maurizio Elettrico, che mi ricorda Matthew Barney. Non si finirebbe più di “elencare”, ma se “il catalogo è questo” (e prosegue inesauribilmente) certo,sulla scorta della polemica recente tra De Magistris e Saviano, non vale la pena schierarsi rispetto alla bellezza perduta e ritrovata o alla Gomorra serpeggiante, ma solo cogliere un fatto: l’interclassismo incrociato di Napoli, la sua trasversalità e mercuriale fluidità, genera una sorta di affondo romanzesco, per cui si pensa a Dickens e a Balzac, a Joyce e a Celine, “girando” per le strade e nell’entroterra, cogliendo una specie di fiume sotterraneo che si insinua fino alle propaggini di un Sud dell’anima, nel suo paesaggio diffuso. Un romanzo-mondo che trova la sua peculiarità più pertinente nella “filmicità” espansa di Napoli come città diffusa. Non ho “elencato” (lo farò) il cinema che scorre nel Lavinaio napoletano, che si diffonde nella germinazione di apparizioni abbacinanti quanto un Ribera o un William Blake come quelle sui muri e gli anfratti del centro storico di diversi streetartisti, molti stranieri, ma anche “nativi” come Cyop e Kaf , writer, graffitisti, scrittori visuali di immaginari atavici e utopici, autori de Il segreto. Il film, che ha vinto molti premi, è prodotto da Antonella di Nocera, educatrice e agitatrice culturale, organizzatrice di rassegne come Venezia a Napoli-Il cinema esteso e Astradoc, produttrice con la Parallelo 41 di alcuni dei migliori esempi di Cinema del Reale italiano di registi come Marcello Sannino, Agostino Ferrente, Giovanni Piperno, Antonio Leto, inventrice di cinema e già assessore alla cultura della prima giunta De Magistris. Ma soprattutto coordinatrice del progetto indipendente di produzione e formazione FILMaP, (con il sostegno di SIAE, Intesa San Paolo, Fondazione con il Sud e SEDA Italy) a cura di Arci Movie (comitato di direzione Roberto D’Avascio, Antonio Borrelli, Maria Teresa Panariello) la cui attività di “movielab” sul territorio e di “Atelier di cinema del reale” ferve in un bellissimo Casale storico a Ponticelli, ai piedi del Vesuvio. Qui insegna (e ora vi sta girando il suo nuovo film) Leonardo Di Costanzo, uno tra i più interessanti registi italiani, che lavora sulla linea di confine tra reale e immaginario (come fanno altri cineasti italiani fra i migliori della contemporaneità: Michelangelo Frammartino, Gianfranco Rosi, Alessandro Rossetto, Carlo Hintermann, Giovanni Cioni, Gianfranco Rosi, Pietro Marcello, Massimiliano Pacifico, Bruno Oliviero, Antonietta De Lillo, Nina di Maio e il gruppo tutto napoletano, su cui tornerò, dei Figli del Bronx, la cui anima creativa e produttiva, Gaetano Di Vaio, si muove a fianco di cineasti come Beppe Gaudino, Guido Lombardi, Diego Olivares, Toni D’Angelo, Romano Montesarchio, Carlo Luglio). All’interno di una “officina” come FILMaP si può leggere in filigrana e in fieri un “romanzo” cinematografico che restituisce credenza al mondo e affonda la sua visione nella porosità del territorio del reale. L’idea di un cinema leggero fatto a costi bassissimi, tecnologie digitali, troupe ridotte, location di strada, attori e talenti provenienti dalla realtà che nasce con i giovani che si formano, scrivono, girano e montano in uno spazio-ambiente di relazioni e immaginazioni concrete, in più fasi che seguono i laboratori sul linguaggio. L’atelier di cinema del reale dipana in continuità la formazione (in cui si realizza un corto, sotto la supervisione di docenti come Rossetto, Oliviero, Carlotta Cristiani) e la scrittura ( in cui si scrivono i lungometraggi) e da cui si procede alla realizzazione dei film, avendo come tutor l’esperienza di case di produzione ( come Indigo, Teatri Uniti, Figli del Bronx…). Un processo di relazioni e di pratiche che genera cinema. Mi sono fatto raccontare i film in lavorazione dai rispettivi giovani autori e sono stati incontri che mi hanno entusiasmato, per la passione, la serietà, la forza immaginativa e realizzativa che mi hanno trasmesso. Sono cinque donne, Elisa Flaminia, Silvia Bellotti, Caterina Biasucci, Sabrina Iannucci, Margherita Panizon e due uomini, Carlo Romano e Francesco Manzo. Intanto al Trieste Film Festival il 23 Gennaio, come evento speciale della sezione Corso Salani, sbarcano i cinque corti appena realizzati da FILMaP (A mazzamma di Ennio Eduardo Donato, Antonio degli scogli di Alessandro Gattuso, Cronopios di Doriana Monaco, La barca di Luisa Izzo, Un inferno di Camilla Salvatore). Questa materia filmica (che è un alchemico oro distillato dal reale) e i dialoghi con gli autori (che sono le voci di un infinito romanzo della realtà), in cui, direbbe Rossellini (un suo progetto non realizzato era un grande film intitolato Napoli ), risiede “lo splendore del vero”, saranno oggetto della prossima “puntata”. A suivre, o come si dice a Napoli: ci’ò berimmo!