Detroit ha visto sbocciare il talento deep soul di Erma Franklin (sorella minore di Aretha) e di Betty Lavette, ma il nome più celebre è quello di Diana Ross. Da star indiscussa della Motown con le Supremes, è riuscita a ritagliarsi una carriera solista di enorme impatto, in qualche modo influenzando i percorsi negli ’80 di Whitney Houston e in tempi più recenti di Beyoncé, che la ricorda per molti aspetti. Un talento singolare quello di Diana, bellissima, voce sensuale da soprano, intonazione perfetta, punta tutto su un repertorio che mescola con sapienza il pop al soul.

È fra le prime donne manager e i 100 milioni di dischi venduti (Billboard l’ha incoronata «entertainer of the century»), sono lì a testimoniarlo. I suoi lavori migliori sono concentrati quasi tutti nei ’70, dall’eponimo debutto che contiene una delle sue maggiori hit, Ain’t no mountain high enough, disco scritto e prodotto dalla coppia d’oro Ashford & Simpson, autori nello stesso album di storici pezzi come Reach Out and Touch e You’re All I Need To Get By. Funziona benissimo anche in coppia con Marvin Gaye (1973) in una raccolta di duetti.

La carriera canora si intreccia a quella di attrice, recita nei panni di Billie Holiday in Lady Sings the blues (1973) e stupisce per come riesce a calarsi nel ruolo della grande e maledetta performer, dimostrando di sapere misurarsi anche con un repertorio jazz (lo farà brillantemente in un live del 1993 di standard jazz e blues). Sarà anche nel cast di The Wiz, rilettura afro del Mago di Oz (1978), e poi disco queen in The Boss (1979) e soprattutto in Diana (1980) prodotto dagli Chic, hit mondiale per una carriera che si estende – discograficamente – ancora negli ’80 e ’90, ma si smarrisce progressivamente in produzioni ricche ma troppo spesso confuse.