Giovedì si eleggerà il nuovo presidente di Confindustria: il presidente di Assolombarda Carlo Bonomi avrebbe 88 voti, Licia Mattioli 82, indecisi 15. Ma le sparate di Marco Bonometti di Confindustria Lombardia («Giusto non fare la zona rossa bergamasca», «il virus è colpa degli allevamenti di animali») stanno danneggiando Bonomi: il blocco sociale lombardo scricchiola.

Licia Mattioli

Licia Mattioli, strano per una vicepresidente di Confindustria dare un’intervista al manifesto: è diventata comunista?
Guardi, per noi imprenditori è importante essere pragmatici, risolvere i problemi, far progredire le nostre aziende e quindi il Paese. Per farlo, bisogna parlare con tutti.

Giusto, partiamo dalla stretta attualità: Confindustria da settimane fa pressioni per riaprire ma giovedì – nel confronto con le altre parti sociali – avete dovuto fare scena muta davanti a Conte che annunciava il prolungamento del lockdown fino al 3 maggio. Non sarebbe il caso di fare autocritica?
Sono settimane di grande tensione e difficoltà per chiunque. Tutto ciò che ha fatto e detto Confindustria ha un solo obiettivo: far ripartire il paese il prima possibile, attraverso percorsi che tutelino la salute dei lavoratori. Per farlo è importante avere tempi certi, metodi condivisi, soluzioni sanitarie e tecnologiche all’altezza. Noi ne stiamo proponendo tante, ora aspettiamo governo e sindacati ma il tempo non è molto. Se avessimo fatto scena muta, ci saremmo risparmiati molte critiche. Invece siamo orgogliosi di aver rappresentato il nostro tessuto produttivo, purtroppo ancora senza i risultati che ci aspettavamo. Continueremo a farlo senza timori.

Cgil, Cisl e Uil continuano ad accusare le imprese di chiedere troppe deroghe per riaprire e i Prefetti di concederle a prescindere dal parere dei sindacati. In controtendenza però c’è l’accordo in Fca con la consulenza dei virologi, il primo firmato anche dalla Fiom dopo 10 anni. È quella la strada?
Quella intrapresa da Fca è la strada che ogni impresa, con l’aiuto di esperti, medici e consulenti, ha percorso da un mese e mezzo a questa parte. Abbiamo fatto uno sforzo enorme per adattare i luoghi di lavoro e limitare al minimo ogni rischio per la salute. Se cerca tra le notizie non esiste un caso di «fabbrica focolaio» chiusa dalle autorità sanitarie. Solo in Veneto lo Spisal ha fatto 3700 verifiche: nessun stabilimento irregolare. Ora si tratta di permettere alle imprese di autocertificarsi e ricominciare a lavorare. Chi sbaglia pagherà, come d’altronde è sempre stato.

Non le chiedo se è a favore del «contributo di solidarietà» del Pd perché la risposta è scontata, ma Confindustria deve essere più aperta al dialogo sociale?
Confindustria rappresenta le imprese, quindi è per definizione aperta al dialogo con tutti. Le imprese sono fatte di persone, di noi imprenditori che investiamo e rischiamo ogni giorno, e dei lavoratori, il nostro capitale umano: crescita e formazione dei nostri collaboratori per noi è oro. Ognuno deve fare la propria parte, nessun consociativismo. Confindustria ha il solo obiettivo di lavorare e far lavorare. Col sindacato ci siamo scontrati ed abbiamo lottato, ma abbiamo anche raggiunto accordi importanti: lo si faccia in buona fede.

Qual è la sua ricetta per superare la crisi da pandemia? Le misure del governo finora vi soddisfano? Molti liberisti nostrani sembrano preferire il Mes agli Eurobond con una forma di masochismo realista sulla nostra storia: è d’accordo?
Bisogna riconoscere un impegno finanziario importante ma ci sono ancora molti problemi. La maggior parte delle norme restano solo parole, e c’è molta confusione per l’enorme quantità di decreti, addirittura 141. Per permettere alle imprese di resistere quei soldi devono arrivare subito lì dove servono. È chiaro che una soluzione come gli Eurobond significherebbe maggiore integrazione europea, quindi una notizia positiva. Noi imprenditori siamo un esempio per la politica: la collaborazione con le altre associazioni europee è massima, abbiamo lottato nelle scorse settimane per tutelare la circolazione delle merci e dire alle istituzioni cosa fare. La Confindustria tedesca ci ha inviato una lettera in cui ci chiede di ripartire il prima possibile: è il momento di tornare al lavoro.