Fedele alla linea che «gli interlocutori non te li puoi scegliere», Maurizio Landini invita alla kermesse Cgil «Futura» il presidente della Confindustria Carlo Bonomi. Si tratta della partita di ritorno di un match già giocato, sebbene in un contesto diverso, il 3 ottobre all’assemblea della Confindustria di Vicenza.

CLIMA GIOVIALE, dialogo schietto, qualche colpo di fioretto nell’ora di dibattito moderato con sapienza da Lucia Annunziata. L’ospite, al netto dei problemi tecnici, si presenta molto meno battagliero dei suoi esordi. Le bastonate prese sul contratto dell’industria alimentare – da lui disconosciuto per i 115 euro di aumento ma che le imprese associate a Confindustria gli hanno fatto ingoiare – hanno fatto abbassare le orecchie al baldanzoso capetto milanese diventato star dei liberisti nonostante abbia una società minuscola. E così spariscono i «contratti rivoluzionari che superino il novecentesco scambio orari-salari» e da Bonomi arriva addirittura la rivendicazione di aver fatto rinnovare «moltissimi contratti in sei mesi di mia gestione». La richiesta industriale si è rattrappita al mero «rispetto del patto della fabbrica» – e dunque legittimando gli aumenti oltre l’inflazione legati ai risultati di settore, ultimo nell’aumento da 100 euro medie del contratto delle comunicazioni firmato giovedì sera – rimanendo ancorato alla sola litania di legarli all’aumento di produttività, totem ormai spuntato perché è palese che è la produttività delle imprese ad essere calata negli anni per la penuria di investimenti, specie in innovazione. E invece Bonomi tira di nuovo fuori l’ormai stantio «patto per l’Italia».
«Servono contratti, non patti. È il momento di investire sul lavoro, in questi anni svalorizzato – ribatte Landini – . I contratti firmati, comunicazioni, legno, gomma-plastica, sono segnali positivi. Ce ne sono però tanti altri che non vengono risolti: i lavoratori dei multiservizi sono da 7 anni senza contratto, così metalmeccanici e tessili. Tra pubblico e privato abbiamo 12 milioni di lavoratori aspettano il rinnovo. Vanno poi affrontati aspetti come smart working e formazione», continua il segretario Cgil.

LANDINI DA PARTE SUA RIEVOCA lo spirito «di fare le cose insieme come a marzo sui protocolli di sicurezza, arrivati dopo trattative complesse e nonostante i litigi» e cerca di portare a casa il maggior numero di impegni comuni figli del dramma della pandemia e della «grande responsabilità» e rilancia l’ormai decennale sua proposta di «defiscalizzare gli aumenti dei contratti nazionali», chiedendo retoricamente: «Non so cosa ne pensa il presidente». Bonomi, che finora aveva aggirato la richiesta, questa volta non ha alternative e pronuncia il suo primo niet: «Non sono d’accordo perché gli aumenti di salario sappiamo che non si traducono in aumenti di consumi» citando a sproposito «l’aumento del 18% dei depositi bancari» come se milioni di operai e precari avessero la possibilità in questi mesi di grave crisi di mettere da parte migliaia di euro a testa, mentre in realtà l’aumento dei depositi è dovuto all’accumulazione di patrimoni e a imprenditori che dicono di fare la fame e invece continuano a guadagnare. Su questo fronte Bonomi non fa passi in avanti rimanendo alla richiesta di «aumentare i salari tramite il welfare aziendale, come fatto nel contratto dei metalmeccanici firmato da Landini che puntò tanto sulla sanità integrativa». Il segretario della Cgil ha buon gioco a controbattere ricordando come «in Italia abbiamo gli orari più lunghi e i salari più bassi». Qui però arriva l’inaccettabile bugia di Bonomi che, senza essere ribattuto, arriva a dire: «La dinamica salariale in Italia è stata in linea con gli altri paesi».

NEL FINALE IL DIBATTITO SI SPOSTA sul tema politico e qui arriva l’altra grande divergenza fra Confindustria e sindacati. Partendo dalla comica autodefinizione di Bonomi: «Mi considero un irrimediabile sognatore riformista», il presidente di Confindustria critica la bozza di legge di bilancio senza nascondere l’auspicio di un nuovo governo. Se Landini spiega di «non vedere alternativa» al governo Conte e snocciola il lungo desiderata per la nuova tranche di incontri con Conte che parte domani, in conclusione arriva l’ammissione della vera paura di Confindustria: «Il governo non metta la maglietta, non faccia da sponda ad una delle due squadre». È un governo che faccia minimamente gli interessi dei lavoratori il vero incubo di Bonomi.