Se gli Stati uniti non fossero determinati a portare avanti il golpe con ogni mezzo, una soluzione giusta e negoziata per il Venezuela sarebbe assai più di una possibilità.

A PUNTARE SUL DIALOGO è infatti il presidente Maduro, che, in un’intervista concessa all’agenzia russa Sputnik, ha ribadito concretamente la propria disponibilità a negoziare con l’opposizione, «per il bene del Venezuela, per la pace e per il futuro». E sarebbero molte, ha assicurato, le istanze aperte a una mediazione, a cominciare dai «governi di Messico, Uruguay, Bolivia, Russia, Vaticano e alcuni paesi europei». «Sto inviando loro – ha detto Maduro – delle lettere ufficiali perché possano sostenere il dialogo in Venezuela dove vogliono, quando vogliono e come vogliono».

Ma il presidente ha fatto un ulteriore passo, esprimendosi esplicitamente a favore della convocazione di nuove elezioni legislative: «Sarebbe ottimo che ci fossero elezioni anticipate per il Parlamento venezuelano, sarebbe un buon modo di garantire un dibattito politico e una soluzione attraverso il voto popolare». Nessuna apertura invece rispetto alle presidenziali, già svoltesi «meno di un anno fa nel rispetto di tutti i parametri costituzionali, legali, istituzionali».

«NON ACCETTIAMO ULTIMATUM né ricatti», ha dichiarato Maduro, respingendo lo «sproposito» che da una capitale europea o da Washington si ordini a un qualunque paese del mondo: “Ripeti le elezioni, perché non le riconosco”. Come se non bastasse, a legittimare la sua presidenza, il 68% dei voti espressi e il 32% di quelli degli aventi diritto, «quasi il doppio rispetto a qualunque primo ministro europeo».
All’invito di Maduro ha risposto prontamente la Russia, che, attraverso il ministro degli Esteri Sergej Lavrov, ha detto di accogliere «di buon grado» la richiesta di una mediazione internazionale. «Chiediamo all’opposizione – ha proseguito il capo della diplomazia russa – di mostrare un approccio egualmente costruttivo, ritirare gli ultimatum e agire in maniera indipendente nel rispetto degli interessi del popolo venezuelano».

SULLA STESSA LINEA si pone la Grecia, nella convinzione – espressa dal viceministro degli Esteri Giorgos Katrougalos – che l’unica via per superare la polarizzazione in atto e «ripristinare la pace sociale» sia il dialogo politico: «Non vogliamo – ha detto Katrougalos – che il Venezuela diventi l’ennesima Libia in Sudamerica».

È ASSAI IMPROBABILE, però, che l’opposizione, i cui passi vengono decisi tutti a Washington, accetti di sedersi al tavolo dei negoziati. Come emerge dalle parole del consigliere per la sicurezza nazionale John Bolton, gli interessi in gioco sono troppi per attendersi che gli Usa decidano di fermarsi ora. «Farebbe una grande differenza per gli Stati uniti, dal punto di vista economico – ha incredibilmente dichiarato Bolton a Fox Business -, se le nostre imprese petrolifere potessero partecipare agli investimenti e alla produzione del petrolio del Venezuela. Sarebbe un bene per il popolo venezuelano. Sarebbe un bene per il popolo statunitense. In gioco c’è molto».

È a questo disegno che risponde la decisione Usa di applicare sanzioni contro la società petrolifera statale Pdvsa. Come ha detto al Financial Times Anthony Simond, del fondo di investimenti Aberdeen Standard, il Venezuela ha esportato finora verso gli Stati uniti 500mila barili di petrolio al giorno, pari a più del 40% della sua produzione totale. E benché il governo abbia cercato di indirizzare parte di questa produzione verso i paesi amici, come Russia, Turchia, Cina e persino India, «il compito non si è rivelato facile». Cosicché, si è detto convinto, «se gli Stati uniti decidono che i pagamenti saranno effettuati sui conti controllati dall’Assemblea nazionale, Maduro non durerà molto».

JUAN GUAIDÓ – a cui il Tribunale supremo di giustizia venezuelano ha proibito di lasciare il paese, disponendo anche il congelamento dei suoi beni – sta svolgendo il suo compitino, convocando manifestazioni (come quella che ha avuto luogo ieri per due ore) per mostrare come la popolazione sia con lui. Un compito facilitato dall’oscuramento pressoché totale, da parte della grande stampa, della permanente mobilitazione chavista a favore del governo legittimo.